Le inquietudini di Fernando Pessoa - Prima Parte -
Jeronimo Pizarro
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

                                                                                     Narciso cieco, come si conosce nel "Libro", Pessoa
                                                                                   desiderò toccarsi come un'anima che fosse esterna.
                                                                                                                        Eduardo Lourenço (1993: 90)
 
 
Ci sono constatazioni che solo una Edizione critica può rendere plausibili e oggi, in retrospettiva, mi pare che la cosa più importante della Edizione critica del "Libro dell' Inquietudine" (2019) fu quella di dimostrare che  sono almeno due i volumi che compongono il "Libro". Di conseguenza, ognuno dei due poteva e doveva essere descritto separamente. Non solo per il fatto che entrambi sono identificabili separatamente, ma perché nel separare il "Libro" (costruito tra "Nella foresta della Alienazione" del 1913, e la "Marcia Funebre per il re Luigi II di Baviera"del 1916 - per citarne due frammenti famosi della prima fase)  dal "Libro" (composto da ulteriori testi senza titolo, come quelli che cominciano con "Amo nei lunghi pomeriggi d' estate, la tranquillità della città bassa" del 1929, e "Non so perchè-lo noto all'improvviso-sto da solo nello studio"del 1933),  nel separare i due libri, dicevo, percepiamo chiaramente che quando Pessoa riprese in mano il progetto abbandonato per quasi dieci anni, la sua grande scoperta fu la città di Lisbona. 

Infatti Lisbona fu la più grande scoperta poetica della seconda fase del "Libro dell' Inquietudine" e forse una delle ragioni più forti che portò Pessoa a riscrivere i frammenti dopo il 1928, con l'indicazione "L. do D.". "'Oh, Lisbona, mia casa "(Pessoa 2014: 322), celebre frase del "Libro",  è l'esclamazione di chi si riappropriò di una città e divenne parte del suo tessuto urbano in maniera quasi impercettibile. Il "Libro dell'Inqueitudine" è un grande ritratto di Lisbona, e anche di Pessoa, cioé dell'impiegato d'ufficio non dissociabile dalle strade, auto elettriche, edifici, piazze,  belvedere della capitale portoghese. Quando Pessoa critica Amiel, di cui ebbe come modello il "Journal intime", lo fa per aver detto: "Sarebbe stato meglio dire che uno stato d'animo costituisce un paesaggio; ci sarebbe nella frase il vantaggio di non contenere la bugia di una teoria, ma solo la verità di una metafora"(2014:467).
 
Nel  "Libro dell' Inquietudine" Pessoa cercò di descrivere stati d'animo come si trattasse di oggetti, ma questo paesaggismo animico sorgeva come troppo "Vago",senza una identificazione  "concreta" con qualcosa, tipo la città di Lisbona.[1]  Il miracolo della seconda fase del "Libro" è che la noia, o "spleen", l' indifferenza e tutti i sentimenti che confluiscono nella inquietudine già non sono associati a scenari vaghi, stranieri, esotici, araldici, improbabili, atemporali e, infine, decadentisti, come nella "foresta dell' alienazione", ma a scenari con nome proprio, storia e posizione geografica, come la Rua dos Douradores  - uno dei titoli inclusi nel libro (Pessoa 2010: I, 452) - e questo schizzo urbano è uno stato d'animo,  come tale, un paesaggio in senso metaforico.

Naturalmente per comprendere che Lisbona è la più grande scoperta poetica della seconda fase del "Libro dell' Inquietudine", o meglio del libro come totalità, è necessario distinguere bene le due fasi di scrittura dell' opera - cosa che fecero poche Edizioni - e leggere il libro in forma cronologica e non tematica. Cosa che fece e che distingue  l'edizione critica. Passo a citare:
 
"Questa Edizione corrobora l'intuizione critica di Jorge de Sena che si trovava in Brasile parlò dell' esistenza di un primo e di un secondo 'Libro'. Per questo e altri motivi, devo confessare che non trovo necessario alternare testi provenienti dalle due fasi dell'opera (una più estetica, vicina al simbolismo, e un' altra più moderna, vicina ad un orientamento neo-classico) per creare una specie di insieme che sia più unitario, in cui per "osmosi", una parte del 'Libro' attraversi la membrana dell' altra" (Pessoa 2010: II, 531).
 
Il problema non sta nell'evitare equilibri che un insieme di vasi comunicanti può generare, nè nell' isolare i due libri dal punto di vista comunicativo, il che sarebbe assurdo, ma nel riconoscere qualcosa di molto più semplice e palpabile. A parte un frammento del 1917, che molte edizioni tendono a nascondere e cancellare, e che inizia con "C'è in Lisbona un piccolo numero di ristoranti"  (2014: 33), con il sottotitolo "Prologo", dato da Pessoa,  bisogna attendere l'anno 1929 per incontrare finalmente la parola Lisbona e le descrizioni della città. Il "Libro della Inquietudine" può essere considerato, complessivamente, come un' opera di letteratura urbana, ma se studiamo i primi diciotto frammenti, quelli che costituiscono il primo nucleo dell' opera, notiamo che vi sono preghiere, invocazioni, lodi, apoteosi, massime, intervalli e perfino un "Peristilo"  che inizia così: "Le ore in cui il paesaggio è un alone di Vita, e il sogno è solo sognarsi, io ho sollevato, o mio amore, nel silenzio della mia inquietudine, questo libro strano come portoni aperti alla fine di un viale abbandonato". Ma la città di Lisbona brilla per la sua assenza, poichè questo"viale", per esempio, può essere qualsiasi strada, con alberi di qualsiasi specie. E se proseguiamo non cambia nulla.

Nel frammento 19 dell'Edizione critica  (che sarà lo stesso nella edizione della "Tinta-da-china")  la città sorge "dal terrazzo di questo caffé" (2014: 57), ma non sappiamo di quale caffé si tratti. E' come se Cesário Verde si avvicinasse improvvisamente al "Libro", ma senza penetrarlo completamente. Nel frammento 55 vi è un "paesaggio di pioggia", ma il tema è trattato ancora in forma troppo romantica, anche se Pessoa già aveva vissuto "esperienze di Ultra Sensazione" (2010: I, 452), come nel poema "Pioggia obliqua". Il testo in questione "Paesaggio di pioggia", inizia così:  "In ogni goccia di pioggia la mia vita fallita piove nella natura. Nel goccia a goccia c'è tutta la mia inquietudine" (2014: 102).

In questo caso, come in altri, sembra di trovarci davanti ad un "paesaggio circolare" osservato da un "Narcisio cieco" , come direbbe Eduardo Lourenço. Si noti  quest'altro paesaggio: "Fu in un mare interno che il fiume della mia vita finì. Intorno alla mia sognata casa tutti gli alberi erano in autunno"  (2014: 123). Per tutta la lettura troviamo assurdità, leggende imperiali, lettere, ("Riuscissi tu a comprendere il tuo dovere di essere semplicemente il sogno di un sognatore", 2014: 132), consigli a donne con matrimoni problematici, confessioni, ricordi, estetiche, nostalgia, etiche, rinunce, sentimenti apocalittici, cornici decorative, metafisiche ed anche una notevole educazione sentimentale, ma nessun testo ci dà la sensazione di camminare per le strade centrali di una piccola città. "Educazione sentimentale" termina così:
 
"Se afferro una mia sensazione e la sfilaccio fino a poter tessere con quei fili la sua realtà interiore, che  definisco "La Foresta dell'Alienazione", o il "Viaggio Mai Fatto", credimi,  non lo faccio perchè la prosa risuoni lucida e tremante, o per godere della prosa  -  più che questo, voglio una raffinatezza finale aggiunta, come il cadere bello di un panno sui miei scenari sognati -,  ma per dare una piena esteriorità a ciò che è interno, per realizzare così l'irrealizzabile, per coniugare il contraddittorio  e,  manifestando il sogno all'esterno, dargli i il suo massimo potere di puro sogno, io, stagnante di vita, intagliatore di imprecisioni, pagina dolente della mia anima Regina, leggendole al crepuscolo non le poesie del libro della mia Vita, aperto sulle mie ginocchia,  ma le poesie che scrivo e che fingo di leggere, e che lei finge di ascoltare, mentre là fuori, non so come e dove,  il Pomeriggio addolcisce  la luce tenue e finale di un misterioso giorno spirituale su questa metafora, eretta dentro di me a Realtà Assoluta". (Pessoa 2014: 162-163)
 
Questa lunga preghiera è fedele alla poetica della prima fase del "Libro dell'Inquietudine".  C'è una "pagina dolente" che seduce, incanta e addormenta la sua "anima Regina", riducendo sensazioni in filamenti,  tessendo scenari sognati, leggendo finzioni, così come Pessoa e Sá-Carneiro, "la Sfinge grassa" nelle sue prose di natura più estetica.  Esiste tutto questo - il puro sogno, il crepuscolo, un misterioso giorno spirituale -,ma di Lisbona non c'è praticamente traccia.
 
 


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Jerónimo Pizarro. Professore della Universidad de los Andes, in Colombia, Ttolare della Cátedra de Estudos Portugueses dell' Instituto Camões in Colombia. Dottore in Literaturas Hispânicas e Linguística Portuguesa presso le Università di Harvard  (2008) e di Lisbona (2006). Nell'ambito della Edição Crítica das Obras de Fernando Pessoa, publicata dalla INCM, ha già contribuito con otto volumi, e l'ultimo è la prima edizione critica del Livro do Desasocego. Nel 2010 la D. Quixote pubblicò A Biblioteca Particular di Fernando Pessoa, libro che ha preparato insieme a Patricio Ferrari e Antonio Cardiello, dopo che i tre hanno coordinato la digitalizzazione di questa biblioteca con l'appoggio della Casa Fernando Pessoa.  Nel 2011 la Legenda ha pubblicato il libro Portuguese Modernisms in Literature and the Visual Arts, organizzato insieme a Steffen Dix, con il quale aveva già scritto, nel 2008 un numero speciale della rivista Portuguese Studies, e nel 2007 un libro di saggi dal titolo A Arca de Pessoa. Attualmente Pizarro é  Coordinatore di due nuove serie della Ática (1. Fernando Pessoa | Obras; 2. Fernando Pessoa | Ensaística). Nel 2013 ha assunto funzioni di commissario della presenza portoghese nella FILBo  – Feira do Livro de Bogotá (Colômbia) ed ha ricevuto il Prémio Eduardo Lourenço.  Nell'aprile dello stesso anno il presidente della Repubblica del Portogallo gli ha consegnato il Premio della Ordem do Infante D. Henrique. Dal 2017 è Membro Corrispondente all'Academia de Letras da Bahia - ALB in Brasile.

Traduzione dal portoghese di A.R.R.

[1] In questo saggio concordo ampiamente con la lettura di Caio Gagliardi che osserva la seguente cosa: "Nel 'Libro della Inquietudine" la città è, per volontà del suo narratore, la concretizzazione di una soggettività esteriorizzata, e, di conseguenza, estirpata dalla oscurità, caricando, si, il mistero delle cose visibili. Non si vuole vederla, si noti bene, come metafora dell'anima, ma come fosse la propria anima.La continua ricostruzione della città è la concretizzazione della necessità di divinizzarsi, di divenire qualcosa di assolutamente chiaro e esterno (Gagliardi 2012: 37-38), Concordo anche con la lettura che Carlos Reis propone in un testo inedito che divise con me: "A cidade do Desassossego. Trajectos e figurações" (2015)


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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Os Desassosegos de Pessoa
por
Jeronimo Pizarro    - I Parte -




                                                                     
 
                                                                                  Narciso cego, como no Livro se conhece, Pessoa
                                                                               desejou tocar-se como uma alma que fosse exterior.
                                                                                                                    Eduardo Lourenço (1993: 90)
 

 
Há constatações que apenas uma edição crítica pode viabilizar e hoje, retrospectivamente, parece-me que a mais importante da edição crítica do Livro do Desasocego (2010) foi a de corroborar que o Livro foi pelo menos dois livros e que, consequentemente, cada um deles podia e devia ser descrito em separado. Não só porque ambos os livros são individualizáveis, mas porque ao separar o Livro construído entre «Na Floresta do Alheamento» (1913) e a «Marcha Funebre para o Rei Luiz Segundo de Baviera» (1916) – para citar dois fragmentos célebres da primeira fase –, do Livro composto por textos ulteriores sem título, como os que começam «Amo, pelas tardes demoradas de verão, o socego da cidade baixa» (1929) e «Não sei porquê – noto-o subitamente – estou sòsinho no escriptorio» (1933), ao separar os dois livros, dizia, apercebemo-nos claramente de que a grande descoberta de Pessoa, quando retomou o projecto abandonado durante quase dez anos, foi Lisboa. Lisboa foi a maior descoberta poética da segunda fase do Livro do Desassossego e talvez uma das razões mais fortes que levaram Pessoa a voltar a escrever fragmentos, depois de 1928, encimados pela indicação «L. do D.».

Essa frase famosa do Livro, «Oh, Lisboa, meu lar!» (Pessoa 2014: 322), é a exclamação de alguém que se apropriou de uma cidade e que se tornou parte de seu tecido urbano de um modo quase imperceptível. O Livro do Desassossego é um grande retrato de Lisboa, e também de Pessoa, quer dizer, do empregado de escritório indissociável das ruas, dos carros eléctricos, dos edifícios, das praças, dos miradouros da capital portuguesa. Quando Pessoa critica Amiel, cujo Journal intime ele teve como modelo, critica-o por ter dito que «uma paisagem é um estado de alma», quando poderia ter dito o contrário: «Mais certo era dizer que um estado da alma é uma paisagem; haveria na frase a vantagem de não conter a mentira de uma teoria, mas tamsómente a verdade de uma metáfora» (2014: 467). Ora, no Livro do Desassossego, Pessoa procurou descrever estados de alma como se fossem coisas, mas esse paisagismo anímico surgia como demasiado vago sem uma identificação concreta com algo, como a cidade de Lisboa.[1]

O milagre da segunda fase do Livro é que o tédio, o spleen, o cansaço, a indiferença e todos os sentimentos que confluem no desassossego já não estão associados a cenários vagos, estrangeiros, exóticos, heráldicos, improváveis, atemporais e, em última instância, decadentistas, como na «floresta do alheamento», mas sim a cenários com nome próprio, história e localização geográfica, como a Rua dos Douradores – um dos títulos contemplados para o livro (Pessoa 2010: I, 452) – e que esse croqui urbano é um estado de alma e, enquanto tal, uma paisagem, num sentido metafórico.
Claro que, para captarmos que Lisboa é a maior descoberta poética da segunda fase do Livro do Desassossego, ou melhor, do livro como totalidade, é necessário distinguir bem as duas fases de escrita da obra – algo que poucas edições fizeram – e ler o livro de forma cronológica e não temática. Isto foi algo que a edição crítica fez e que a distingue. Passo a citar:

Esta edição vem corroborar a intuição crítica de Jorge de Sena, que estava no Brasil quando a verbalizou, da existência de um primeiro e de um segundo Livro, e, por este e outros motivos, devo confessar que não vejo a necessidade de intercalar textos provenientes das duas fases da obra (uma mais esteticista, próxima do simbolismo, e outra mais modernista, próxima de uma orientação neo-clássica) para criar uma espécie de todo mais unitário, em que, por «osmose», uma parte do Livro atravessasse a membrana da outra. (Pessoa 2010: II, 531)
  
O problema não está em evitar equilíbrios que um conjunto de vasos comunicantes pode gerar, nem em apartar comunicativamente os dois livros, o que seria absurdo, mas em reconhecer algo muito mais simples e palpável: que, se exceptuarmos um fragmento de 1917 que muitas edições tendem a ocultar e rasurar, aquele que começa «Ha em Lisboa um pequeno numero de restaurantes» (2014: 33), a que Pessoa deu o subtítulo de «Prólogo», então há que aguardar até 1929 para finalmente encontrar a palavra Lisboa e descrições da cidade. O Livro do Desassossego pode ser considerado, de forma um pouco lata, como uma obra de literatura urbana, mas se estudarmos os primeiros dezoito fragmentos, aqueles que constituem o primeiro núcleo da obra, notamos que há orações, invocações, glorificações, apoteoses, máximas, intervalos e até um «Peristilo» (que começa: «Ás horas em que a paysagem é uma auréola de Vida, e o sonho é apenas sonhar-se, eu ergui, ó meu amôr, no silencio do meu desassocego, este livro estranho como portões abertos ao fim d’uma alameda abandonada.»), mas a cidade de Lisboa brilha pela sua ausência, pois essa «alameda», por exemplo, pode ser qualquer rua com árvores de qualquer espécie.

E se avançamos, nada muda realmente. No fragmento 19 da edição crítica – que será o mesmo na edição da Tinta-da-china – surge «do terraço d’este café» (2014: 57), mas não sabemos de que café se trata; é como se Cesário Verde se acercasse de repente do Livro, mas sem nele se adentrar plenamente. No fragmento 55 existe uma «paysagem de chuva», mas o tratamento do tema é ainda demasiado romântico, embora Pessoa já tivesse vivido «experiências de Ultra-Sensação» (2010: I, 452), como no poema «Chuva oblíqua»; o texto em questão, «Paysagem de chuva», começa assim: «Em cada pingo de chuva a minha vida falhada chora na natureza. Ha qualquér cousa do meu desassocego no gota a gota» (2014: 102). Neste caso, como noutros, parece que estamos ante uma «paisagem circular» observada por um «Narciso cego», como diria Eduardo Lourenço; veja-se esta outra paisagem: «Foi num mar interior que o rio da minha vida findou. Á roda do meu solar sonhado todas as arvores estavam no outomno» (2014: 123). Ao longo da leitura encontramos absurdos, lendas imperiais, cartas («Assim soubesses tu comprehender o teu dever de seres meramente o sonho de um sonhador.»; 2014: 132), conselhos às mulheres mal casadas, confissões, recordações, estéticas, nostalgias, éticas, abdicações, sentimentos apocalípticos, quadros decorativos, metafísicas e até uma notável educação sentimental, mas nenhum texto nos dá a sensação de caminharmos pelas ruas centrais de uma pequena cidade. «Educação sentimental» termina assim:
 
Se pego numa sensação minha e a desfio até poder com ella tecer-lhe a realidade interior a que eu chamo ou A Floresta do Alheiamento, ou a Viagem Nunca Feita, acreditae que o faço não para que a prosa sôe lucida e tremula, ou mesmo para que eu gose com a prosa – ainda que mais isso quero, mais esse requinte final ajunto, como um cahir bello de panno sobre os meus scenarios sonhados – mas para que dê completa exterioridade ao que é interior, para que assim realise o irrealisavel, conjugue o contradictorio e, tornando o sonho exterior, lhe dê o seu maximo poder de puro sonho, estagnador de vida que sou, burilador de inexactidões, pagem doente da minha alma Rainha, lendo-lhe ao crepusculo não os poemas que estão no livro, aberto sobre os meus joelhos, da minha Vida, mas os poemas que vou construindo e fingindo que leio, e ella fingindo que ouve, enquanto a Tarde, lá fora não sei como ou onde, dulcifica sobre esta metaphora erguida dentro de mim em Realidade Absoluta a luz tenue e ultima d’um mysterioso dia espiritual. (Pessoa 2014: 162-163)
 
Esta longa oração é fiel à poética da primeira fase do Livro do Desassossego. Há um «pagem doente» que seduz, encanta e adormece a sua «alma Rainha», desfiando sensações, tecendo cenários sonhados, lendo fingimentos, tal como Pessoa e Sá-Carneiro, «o esfinge gorda», nas suas prosas mais esteticistas. Tudo isto existe – o puro sonho, o crepúsculo, um misterioso dia espiritual –, mas de Lisboa não há praticamente nenhum rasto. 


[1] Neste ensaio coincido amplamente com a leitura de Caio Gagliardi, que observa o seguinte: «No Livro do Desassossego a cidade é, por vontade de seu narrador, a concretização de uma subjetividade exteriorizada, e, por conseqüência, extirpada de obscuridade, carregando, sim, o mistério das coisas visíveis. Não se quer vê-la, note-se bem, como metáfora da alma, mas como a própria alma: […] A contínua reconstrução da cidade é a concretização da necessidade de divinizar-se, de se tornar algo absolutamente claro e exterior» (Gagliardi 2012: 37-38). Coincido também com a leitura que Carlos Reis propõe num texto inédito que partilhou comigo: «A cidade do Desassossego. Trajectos e figurações.» (2015).

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E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione
Jerónimo Pizarro. Professor da Universidad de los Andes, Titular da Cátedra de Estudos Portugueses do Instituto Camões na Colômbia e Doutor pelas Universidades de Harvard (2008) e de Lisboa (2006), em Literaturas Hispânicas e Linguística Portuguesa. No âmbito da Edição Crítica das Obras de Fernando Pessoa, publicada pela INCM, já contribuiu com oito volumes, sendo o último a primeira edição crítica do Livro do Desasocego. Em 2010 a D. Quixote publicou A Biblioteca Particular de Fernando Pessoa, livro que preparou com Patricio Ferrari e Antonio Cardiello, depois dos três coordenarem a digitalização dessa biblioteca com o apoio da Casa Fernando Pessoa. Em 2011 a Legenda publicou o livro Portuguese Modernisms in Literature and the Visual Arts, co-organizado com Steffen Dix, com quem já tinha co-editado, em 2008, um número especial da revista Portuguese Studies, e em 2007, um livro de ensaios, A Arca de Pessoa. Atualmente Pizarro é o Coordenador de duas novas séries da Ática (1. Fernando Pessoa | Obras; 2. Fernando Pessoa | Ensaística). Em 2013, assumiu funções de comissário da presença portuguesa na FILBo – Feira do Livro de Bogotá (Colômbia) e foi distinguido com o Prémio Eduardo Lourenço. Em abril do mesmo ano, foi agraciado pelo presidente da República com a comenda da Ordem do Infante D. Henrique. Nel 2017 è stato eletto Membro Corrispondente presso l'Academia de Letras da Bahia in Brasile -ALB.