Un popolo nerometiccio: Note sparse sulla singolarità del meticciato amadiano
Antonio Carlos Monteiro Teixeira Sobrinho
La sede della Fondazione Casa di Jorge Amado a Salvador Bahia in Brasile
TESTO IN ITALIANO (Texto em português)
1. Il testo che segue
[1], anche per la sua struttura in semplici note, vuole allontanarsi dal rigore della scrittura e della logica accademica – anche se, per filiazione, vi si relaziona.
Presentiamo qui alcuni argomenti elencati e presentati nella tesi
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana. Questa ricerca contrasta il discorso di un Brasile positivamente meticcio, la cui matrice rimette all’antropologo pernambucano Gilberto Freyre , e la rappresentazione letteraria del meticciato raggiunta da Jorge Amado. Pertanto, si suggeriscono come parametri le opere di entrambi gli autori che si riferiscono al nero e alla cultura di matrice africana. Il tentativo per il distanziamento proposto è , effettivamente, osservare la singolarità del tratto amadiano su una tale tematica. Dopo tutto, per quel che concerne il processo storico brasiliano, il discorso del meticciato è sempre stato fiancheggiato dalle tante sinuosità del razzismo – anche a braccetto, nonostante a volte ci fosse un pregiudizio dissimulato. In un certo qual modo, questa è la realtà dei testi scritti da Gilberto Freyre. Nonostante in molti aspetti costituisca un contributo di innegabile valore al pensiero nazionale, l’opera gilbertiana è soprattutto di carattere conservatore, visto che rappresenta lo sguardo originario dell’alta gerarchia di una Casa-grande - e che fa pensare ad una costruzione teorica idilliaca sulla schiavitù brasiliana, vista benevolmente, e del meticciato, trasformato in mito fondatore.
A Jorge Amado corrisponde, invece, una posizione diametralmente opposta, e della quale si tratta nelle note seguenti.
2. Alla pagina 73 di
Sobrados e mucambos, si osserva che, a dispetto di tante distinzioni regionali, Gilberto Freyre difende il concetto di unità nazionale, come si può constatare nella seguente avvertenza: “lo studio delle differenze non ci deve far dimenticare quello delle somiglianze”.
Si prenda questa frase di per sé, isolata dal merito che racchiude e rivendica. Si ignorino gli sdoppiamenti che annuncia, i problemi teorici che implica. Per brevi istanti ci paiono parole qualsiasi, disposte a caso, liberate. Parole senza padrone, senza virgolette con le quali interporsi. Una volta già di dominio pubblico, si altera la disposizione sintattica e, principalmente, semantica dei termini “differenze” e “somiglianze”. Si modifica la frase, pertanto, in base al significato inverso che originariamente esprime.
Lo studio delle somiglianze non ci deve far dimenticare quello delle differenze. Il paradigma ottenuto sarà guida di tutte le note a venire
.
3. L’elogio gilbertiano al meticciato fiancheggia la glorificazione dei portoghesi come colonizzatori, non tanto per il loro impeto di creare colonie in quasi tutti i continenti, ma piuttosto per la “felice predisposizione della razza” che, secondo l’antropologo pernambucano, ha permesso di conquistare, dominare e schiavizzare con benevolenza. Ora, l’
ethos nazionale che Freyre comunica è, in larga parte, tributario di questo elogio e gli rende omaggio costantemente.
4. Date le considerazioni della nota precedente, qualsiasi ricerca che si dedichi a svelare unicamente le somiglianze tra Freyre e Amado, riguardo l’appropriazione del meticciato come discorso, risulta essere una “mezza verità” – o ancora meno, nel caso si ammetta la natura multisfaccettata che la verità può assumere. Che ci siano parità, non si nega in questa poche annotazioni. Che tali similitudini indichino un certo grado di assimilazione teorica e di concordanza, idem. Ma, quale è la misura esatta di questo “certo grado” e quale la sua vera portata? Fino a che punto l’universo fittizio amadiano è correlato all’universo antropologico di Gilberto Freyre o in che misura se ne allontana costituendone un altro, differente, singolare?
Non si tratta di uno sforzo vano nel misurare, con formula e precisione matematica, l’immensurabile che esiste nel campo delle Lettere nel campo simbolico e interpretativo. Del resto, l’arte è, per natura, poliedrica, inesatta, soggettiva e varia. Tanto più nel campo specifico della scrittura: a dispetto di tanti e vasti dizionari, le parole ancora giacciono indefinibili quando sono intrappolate le une alle altre in associazioni metaforiche, in accordi linguistici che le proiettano oltre loro stesse. Trattasi, tuttavia, di una lettura, tra le tante possibili, il cui obiettivo è dare una direzione alle indagini elencate nel paragrafo precedente.
5. Sicuramente, sarebbe interessante – e forse imprescindibile – che ci fosse in questa nota la riproduzione dei commenti già fatti da altri ricercatori sul tema in questione.
Studiosi come Eduardo de Assis Duarte (2006 e 2006b) e Ordep Serra (1995) marcano le differenze puntuali tra Jorge Amado e Gilberto Freyre, che queste note vogliono avallare. L' antropologa Ilana Seltzer Goldstein (2003), d’altro canto, osserva alcun stacchi tra i due, cosa che non impedisce, però, di definire Jorge Amado con il soprannome “freiriano”.
6. Forse, l’epiteto sarebbe piaciuto allo scrittore baiano, non rari gli elogi rivolti all’opera realizzata dal Maestro di Apipucos (il quartiere di Recife dove Freyre viveva
n.d.t.). in una intervista a João Moreira Salles, registrata nel film
Jorge Amado, il baiano reitera l’elogio e dettaglia il ruolo centrale che Freyre ha giocato per la formazione di una identità nazionale:” Noi eravamo bloccati, confusi. Pensavamo che eravamo latini, europei, latini. [...] Gilberto Freyre arrivò con il suo grande libro,
Casa-Grande & Senzala e ci disse come siamo [...]” (JORGE AMADO, 1995).
Comunque, malgrado fosse presumibilmente lusingato dal soprannome “freiriano”, è possibile – e anche probabile – che Jorge Amado lo declinasse, poiché inadeguato. Questo perché molti concetti gilbertiani, principalmente quelli strutturanti l’
ethos disegnato dal pernambucano, non sono rintracciabili nella vasta opera letteraria amadiana. Oltre tutto, l’esistenza di un certo distanziamento teorico in relazione a Gilberto Freyre è evidenziata dallo stesso scrittore baiano Jorge Amado (1962, p. 34), che afferma “[...] Molte volte non concordo con lui, di tanto in tanto ci troviamo con punti di vista divergenti”.
Quali sarebbero queste discordanze e di quale ordine? Sarebbero, solamente, di natura politico-ideologica o comporterebbero, oltre la vecchia opposizione destra vs. sinistra, altre ragioni, magari concettuali? Jorge Amado non le scrisse. Tuttavia, senza la pretesa di indovinarle, è plausibile ammettere alcune differenziazioni che strutturano nozioni prossime, però dissonanti su quello che concerne il meticciato in Jorge Amado e Gilberto Freyre.
In seguito allo studio
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana (TEIXEIRA SOBRINHO, 2012), si è constatato la presenza di tre differenze nell’approccio di Amado e Freyre riguardo il meticciato. A dispetto del ridotto numero rilevato, si pensa che tali differenze si configurano in una maniera così sintomatica e rilevante che consentono di affermare la singolarità del meticciato amadiano.
7. La prima differenza ci dice come lo scrittore baiano e l’antropologo pernambucano concepiscono il razzismo e, per estensione, rivestono il meticciato di una capacità redentrice. Paradossale come sempre, Freyre (2004; 2006) non esenta la società brasiliana dal razzismo, ma intanto la considera come una “democrazia sociale e etnica” in cui il meticciato avrebbe annullato le distanze sociali e nella quale il problema del negro si sarebbe ridotto al mulatto. Con questo significato, il razzismo è visto come qualcosa di meramente residuale, di poco valore, che poco si percepisce nel quotidiano brasiliano. Il meticciato, a sua volta, risale a una benefica azione passata che aveva già avvicinato socialmente, per via del mulatto, gli estremi del sistema schiavista.
Per quello che riguarda i romanzi amadiani, pur narrando la società meticcia, sono punteggiati da conflitti che, in ultima analisi, evidenziano una natura etnico-razziale – siano essi espliciti come in
Tenda dos milagres o allegorici come in
Os pastores da noite. Quindi, per quanto Jorge Amado abbia difeso, nelle varie interviste, il supposto legame tra il razzismo e il problema sociale brasiliano, del quale sarebbe causa, lo scrittore baiano non ha ridotto, nella sua opera, il peso che il pregiudizio razziale ha nelle configurazione disuguale del Brasile. Per Jorge Amado, pertanto, l’azione benefica e redentrice del meticciato non è collocata nel passato, come in Freyre, ma proiettata nel futuro, in un indefinito avvenire.
Non è un fatto accaduto; ma speranza che possa accadere. In sintesi: il discorso moderno e ufficiale in merito alla condizione meticcia del popolo brasiliano, la cui genealogia rimanda alle tesi di Gilberto Freyre, fa uso dei tempi verbali passati, cosa che lo rende simile alle narrazioni mitiche. Si tende, quindi, alla costruzione di un simulacro omogeneizzante, nel quale, si suppone, il meticciato era prevalente e considerato utero della democrazia. D’altra parte, le possibilità future rimangono nelle rappresentazioni amadiane – asserzione che è conforme con le osservazioni di Jéferson Bacelar (2001) e di Eduardo de Assis Duarte (2006). Così Jorge Amado si allontana dal riduzionismo mitico per scoprire i potenziali utopici che intravede nei vasti e vari meticciati.
In linea di massima, il mito corrisponde a quello che è precedentemente disposto e preconizza l’inalterabilità; l’utopia invece svela l’orizzonte al quale anela e presuppone trasformazione. Inoltre, la prospettiva amadiana è meno semplicistica di quella enunciata dall’antropologo pernambucano. Nonostante il baiano identifichi anche nel meticciato un certo potenziale rivoluzionario, non lo fa in maniera isolata come Gilberto Freyre. Per lo scrittore baiano non basta l’esistenza di una naturale tendenza a mesolare il Brasile; è necessaria prima una riorganizzazione sociale delle sfere del potere del paese perché il meticciato possa, infine, estinguere preconcetti.
Diversi, poi, sono gli ambiti del meticciato tracciato da Gilberto Freyre e Jorge Amado. Mentre il pernambucano lo incornicia come strutturante di una democrazia razziale diffusa e coeva, Amado localizza la democrazia razziale brasiliana nel popolo, ossia, nell’ampio mosaico degli esclusi, ma la respinge come realtà sociale una volta che descriva le élites come afflitta da pregiudizi e il paese come una società piena di razzismo. Non a caso, si sono stabiliti concetti di “mondo negro” e “universo meticcio”(TEIXERA SOBRINHO, 2012) per la lettura del meticciato amadiano. Il primo mette in evidenza e combatte la cancellazione deliberata di tutto ciò che è relativo al nero in Brasile, principalmente i valori che denotano una identità specifica, un esperienza afro-brasiliana. Il secondo, a sua volta, con la chimera di una futura società meticcia, è dotata di una democrazia sociale e identitaria, una prospettiva che emerge dalla nozione di meticciato incoraggiato da Jorge Amado.
8. Specificamente il concetto “mondo negro” punta a una seconda e anche fondamentale differenza tra Amado e Freyre. In generale il nero gilbertiano riproduce un aspetto di sottomissione all’ordine vigente, adattandosi docilmente alla schiavitù, che modella una rappresentazione che ne denota la naturale subalternità. Ora, sottomessa è la rappresentazione del popolo consacrato davanti all’impossibilità degli orixás di inserirsi nella Chiesa come in
O compadre de Ogum. Allo stesso modo insorta è la manifestazione degli abitanti di Mata Gato, capitanata da Jesuino Galo Doido in
Os amigos do povo. E cosa dire di Pedro Archanjo, Lídio Corró, Procópio, Majé Bassan e Major Damião? Dov’è la passività tipica dei neri ritratti in
Casa-Grande & Senzala?
Se il nero gilbertiano suggella l’ordine coloniale, la rappresentazione amadiana corrisponde all’esatto opposto: la contesta, la rigetta, la riscrive. Il negro descritto nei romanzi di Jorge Amado si afferma.
9. Ora, nella misura esatta in cui i personaggi neri affrontano la società razzista e escludente per affermarsi, si stabilisce la terza e principale distinzione fra gli universi di Jorge Amado e di Gilberto Freyre, qualunque sia, il luogo del nero.
A dispetto dell’enfasi con cui Gilberto Freyre focalizza il negro nelle sue opere, non è proprio un popolo afro-brasiliano dotato di un
ethos che si disegna e ravviva a partire dalla sue tante pagine. Prima, un popolo omogeneamente meticcio sotto la linea guida di una genealogia lusitana- da qui Freyre riconosce adeguamenti e “rammollimenti” promosso dal negro e dall’indigeno alla cultura del bianco colonizzatore, ma rifiuta lo sguardo di un Brasile che si intreccia primordialmente per i valori culturali del nero e dell’indio.
In un altro piano si situa il Brasile di Amado. I suoi intrecci sono spesso condizionati dai valori culturali negri, come dimostra Gildeci de Oliveira Leite (2008). Così, è possibile affermare non solo il ruolo di personaggi negri, ma, anche, e principalmente, il ruolo di un
ethos negro. “il nostro ombelico è l’Africa” sottolinea Jorge Amado al suo intervistatore, Gilberto Gil (TEMPO REI, 1996).
10. Il termine meticciato è, in se, problematico poiché storicamente implica preconcetti, soppressioni e sbiancamenti dissimulati. Non senza motivo, l’idea di “meticciato” quasi invariabilmente è associato alla manutenzione del potere e degli ordini dominanti, presumibilmente bianchi.
Jorge Amado, invece, arriva ad enunciarla di forma singolare, e cioè, concepirla e rappresentarla libera da incidenze stigmatizzanti o obliteranti che tradizionalmente il concetto comporta. Per quel che concerne specificamente il nero, invece di dissolvere in tonalità più chiare di pelle e di cultura, lo scrittore baiano lo descrive nella giusta misura di valori culturali che scaturiscono dal
continuum Africa-Brasile e che delimitano una identità negra sulla riva occidentale del Sud Atlantico. Il popolo che brilla in questa singolare concezione del meticciato amadiano non è, pertanto, unicamente meticcio: si espande al di là delle varie limitazioni di questo concetto nella misura in cui si configura, si presume e si afferma soprattutto nero – un popolo nerometiccio.
[1] Questo texto riproduce nelle note parte dell’argomento e delle conclusioni a cui si è giunti nella tesi Um
povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana, difesa nel marzo 2012 nel Programa de Pós-graduação em Estudo de Linguagens (PPGEL), da Universidade do Estado da Bahia (UNEB), Campus I – Salvador. La ricerca è stata finanziata dalla CAPES e orientata dal Prof. Dr. Carlos Augusto Magalhães al quale vanno qui i ringraziamenti. Una copia integrale della tesi è disponibile nel sito del PPGEL.
Traduzione in italiano di Ornella Gaudio
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BIBLIOGRAFIA
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TEIXEIRA SOBRINHO, Antonio Carlos Monteiro.
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana. 2012. 285f. Dissertação (Mestrado em Estudo de Linguagens) – Universidade do Estado da Bahia. Campus I. Programa de Pós-graduação em Estudo de Linguagens.
Antonio Carlos Monteiro Teixeira Sobrinho. Mestrado in Studio di Linguaggi e professore del Centro Universitário Jorge Amado – UNIJORGE. Ha scritto articoli sull’opera amadiana pubblicati in libri, riviste accademiche e giornali. Si occupa degli studi di Letteratura brasiliana e baiana in particolare, nei quali indaga le rappresentazioni culturali e identitarie. Attualmente si dedica al progetto “ “Jorge Amado – uma ética para o porvir”, dal titolo ancora provvisorio, com il quale è entrato nel Dottorato in Letteratura e Cultura del Programma di Pós-graduação em Letras da Universidade Federal da Bahia (UFBA). Fa parte come membro del Comitato soteropolitano del Programa Nacional de Incentivo à Leitura – PROLER Salvador. E-mail:
tonysobr@hotmail.com
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TEXTO EM PORTUGUÊS (Testo in italiano)UM POVO NEGROMESTIÇO – NOTAS ESPARSAS SOBRE A SINGULARIDADE DA MESTIÇAGEM AMADIANA[1]
di
Antonio Carlos Monteiro Teixeira Sobrinho
1. O pequeno texto que segue, justamente por sua estrutura em simples notas, pretende-se um tanto apartado dos rigores da escrita e da lógica acadêmica – ainda que, por filiação, relacione-se às tais exigências.Apresentam-se aqui alguns argumentos elencados e arrazoados na dissertação
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana. Tal pesquisa objetivou contrastar o discurso fundante de um Brasil positivamente mestiço, cuja matriz remete ao antropólogo pernambucano Gilberto Freyre, e a representação literária da mestiçagem alcançada por Jorge Amado. Para tanto, sugeriram-se como parâmetros as criações imagéticas de ambos os autores no que se referem ao negro e à cultura de matriz africana.
Atentar para o distanciamento acima proposto é, com efeito, observar a singularidade do trato amadiano com uma tal temática. Afinal, no concernente ao processo histórico brasileiro, o discurso da mestiçagem sempre esteve ladeado pelas tantas sinuosidades do racismo – mesmo de mãos dadas, conquanto, às vezes, possuísse um viés dissimulado. De certo modo, esta é uma realidade dos textos escritos por Gilberto Freyre. Embora revolucionária em muitos aspectos, o que a torna uma contribuição de inegável valor ao pensamento nacional, a obra gilbertiana é, tanto mais, de feição conservadora, vez que representa a mirada dimanante do alto hierárquico de uma Casa-grande – o que a faz verter para uma construção teórica idílica acerca da escravidão brasileira, vista benignamente, e da mestiçagem, transformada em mito fundador.
A Jorge Amado – defendeu-se –, corresponde um posicionamento diametralmente oposto, sobre o qual se discorre nas notas seguintes.
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À página 73 de Sobrados e mucambos, observa-se que, a despeito de tantas distinções regionais, Gilberto Freyre defende a concepção de uma unidade nacional, o que se constata na seguinte advertência: “o estudo das diferenças não nos deve fazer esquecer o das semelhanças”.
Tome-se esta frase de
per si, isolada dos referentes que encerra e reclama. Desconsiderem-se os desdobramentos que anuncia, os problemas teóricos que acarreta. Por breves instantes, são como palavras quaisquer, ditas por não se sabe quem, dispostas ao acaso, soltas em amplidão. Palavras sem dono, sem aspas às quais se interporem. Uma vez, já de domínio público, altere-se a disposição sintática e, principalmente, semântica dos termos “diferenças” e “semelhanças”. Modifique-se a frase, portanto, de acordo com o sentido inverso que originalmente expressa.
O estudo das semelhanças não nos deve fazer esquecer o das diferenças. O paradigma obtido é norteador de todas as notas vindouras.
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O elogio gilbertiano à mestiçagem ladeia a glorificação do português como colonizador, não apenas por seu ímpeto em empreender colônias em quase todos os continentes, mas também pelas “felizes predisposições de raça” que, segundo o antropólogo pernambucano, permitiram conquistar, dominar e escravizar de forma plástica; com benignidade. Ora, o ethos nacional que Freyre enforma é, em grande parte, tributário deste elogio e rende-lhe homenagens constantemente.
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Dadas as considerações da nota anterior, qualquer pesquisa que se dedique a desvendar unicamente as semelhanças entre Freyre e Amado, no tocante à apropriação da mestiçagem como discurso, resulta em “meia verdade” – ou ainda menos, caso admita-se a natureza multifacetada que “verdade” pode assumir. Que há paridades, não se nega nestas poucas anotações. Que tais similaridades indiciam certo grau de absorção teórica e de concordância, idem. Mas, qual a medida exata deste “certo grau” e qual o seu verdadeiro alcance? Até que ponto o universo ficcional amadiano é correlato ao universo antropológico de Gilberto Freyre ou em que limite desgarra-se dele e constitui-se outro, diferente, singular?
Não se trata do esforço vão em mensurar, com fórmula e precisão matemáticas, o imensurável que reveste o campo das Letras de simbólico e interpretativo. Ademais, a arte é, por natureza, poliédrica, inexata, subjetiva e vária. Tanto mais o é o campo específico da escrita: a despeito de tantos e tão vastos dicionários, as palavras ainda jazem indefiníveis quando enleadas umas às outras em associações metafóricas, em arranjos linguísticos que as projetam para além de si. Trata-se, no entanto, de uma apenas leitura, dentre tantas outras possíveis, cujo objetivo é dar algum direcionamento às indagações elencadas no parágrafo anterior.
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Por certo, seria interessante – e talvez imprescindível – que houvesse nesta quarta nota a reprodução dos comentários já feitos por outros pesquisadores acerca do tema em questão. Contudo, quem a escreve falha em síntese – reconheça-se, tristemente. Ainda assim, compete ressaltar que estudiosos como Eduardo de Assis Duarte (2006 e 2006b) e Ordep Serra (1995) marcam diferenças pontuais entre Jorge Amado e Gilberto Freyre, as quais estas esparsas anotações endossam. A antropóloga Ilana Seltzer Goldstein (2003), por outro lado, observa alguns distanciamentos entre ambos, o que não a impede, porém, de definir Jorge Amado sob a alcunha de “freiriano”.
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Talvez, o epíteto agradasse ao escritor baiano, não raro os elogios que dirigia à obra alcançada pelo Mestre de Apipucos. Em depoimento a João Moreira Salles, registrado no filme Jorge Amado, o grapiúna reitera o gabo e detalha o papel central que Freyre desempenhou para a formação de uma identidade nacional: “Nós estávamos atrapalhados, confusos. Pensávamos que éramos latinos, europeus, latinos. [...] Gilberto Freyre chegou com o seu grande livro, Casa-Grande & Senzala e nos disse como nós somos [...]” (JORGE AMADO, 1995).
Por outro lado, apesar de presumivelmente lisonjeado pela alcunha de “freiriano”, é possível – e mesmo provável – que Jorge Amado a declinasse, por inadequada. Isto porque muitas concepções gilbertianas, principalmente aquelas estruturantes do
ethos projetado pelo pernambucano, não são localizáveis na vasta obra literária amadiana. Aliás, a existência de certo distanciamento teórico em relação a Gilberto Freyre é destacada pelo próprio romancista baiano Jorge Amado (1962, p. 34), que afirma: “[...] muito tenho discordado dêle, de quando em vez nos encontramos em pontos de vista divergentes”.
Quais seriam estas discordâncias e de qual ordem? Seriam, apenas, de natureza político-ideológica ou comportariam, para além da velha oposição direita x esquerda, razões outras, quiçá conceituais? Jorge Amado não as escreveu. Entretanto, sem a pretensão de adivinhá-las, é plausível admitir-se algumas diferenciações que estruturam noções próximas, porém destoantes no concernente à mestiçagem em Jorge Amado e Gilberto Freyre.
Em decorrência da pesquisa
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana (TEIXEIRA SOBRINHO, 2012), constatou-se a presença de três diferenças entre as abordagens de Amado e Freyre no que tangencia a mestiçagem. A despeito do reduzido número apontado, acredita-se que tais diferenças se configuram de tal maneira sintomáticas e relevantes que possibilitem afirmar a singularidade da mestiçagem amadiana. Cabe indicá-las.
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A primeira diferença diz respeito a como o romancista baiano e o antropólogo pernambucano concebem o racismo e, por extensão, revestem a mestiçagem de uma capacidade redentora.
Paradoxal como sempre, Freyre (2004; 2006) não isenta a sociedade brasileira do racismo, entretanto a vislumbra como uma “democracia social e étnica” em que a mestiçagem teria anulado as distâncias sociais e na qual o problema do negro estaria reduzido ao mulato. Neste sentido, o racismo é visto como algo meramente residual, de pouca monta, que pouco se percebe no cotidiano brasileiro. A mestiçagem, por sua vez, remontaria a uma ação benfazeja pretérita, que já teria aproximado socialmente, por via do mulato, os extremos do sistema escravista.
No que concerne aos romances amadianos, a despeito de narrarem majoritariamente uma sociedade mestiça, eles são pontilhados por conflitos que, em última análise, evidenciam uma natureza étnico-racial – sejam aqueles explícitos como em
Tenda dos milagres, sejam aqueles alegóricos como em
Os pastores da noite. Assim, por mais que Jorge Amado tenha defendido, em entrevistas várias, o suposto de uma vinculação do racismo ao problema social brasileiro, do qual seria originário, o romancista baiano não diminui em sua obra o peso que o preconceito de raça tem na configuração desigual do Estado.
Para Jorge Amado, portanto, a ação benfazeja e redentora da mestiçagem não está localizada no passado, como em Freyre, mas projetada no futuro, em um indefinido porvir. Não é fato acontecido; mas esperança por acontecer. Em suma: o discurso moderno e oficial acerca da condição mestiça do povo brasileiro, cuja genealogia remete às teses de Gilberto Freyre, faz uso das variações verbais pretéritas, o que o torna símile às narrações míticas. Tende-se, pois, à construção de um simulacro homogeneizante, no qual, supõe-se, já se fizera prevalente e útero de democracia, a mestiçagem. Por outro lado, as possibilidades futuras inscrevem-se nas representações amadianas – assertiva que está em conformidade com as observações de Jéferson Bacelar (2001) e também de Eduardo de Assis Duarte (2006). Deste modo, Jorge Amado aparta-se dos reducionismos míticos para explorar os potenciais utópicos que vislumbra nas vastas e várias miscigenações. E se, por princípio, o mito corresponde ao que é previamente disposto e preconiza inalterabilidade; a utopia descortina o horizonte ao qual se almeja, pressupõe transformação.
Ademais, a perspectiva amadiana é menos simplista do que aquela enunciada pelo antropólogo pernambucano. Não obstante o grapiúna também identifique na mestiçagem certo potencial revolucionário, não o faz de forma isolada como Gilberto Freyre: para o romancista baiano não basta a existência de uma natural tendência para a mistura no Brasil; antes, é preciso uma reorganização social das esferas de poder do país para que a mestiçagem possa, enfim, dirimir preconceitos.
Diferentes, pois, são os âmbitos da mestiçagem traçados por Gilberto Freyre e Jorge Amado. Enquanto o pernambucano a emoldura como estruturante de uma democracia racial coetânea e generalizada, Amado localiza a democracia racial brasileira no povo, ou seja, no amplo mosaico dos excluídos, mas a rejeita como realidade social uma vez que descreva as elites como eivadas de preconceitos e o país como uma sociedade pejada de racismos. Não à toa, estabeleceram-se os conceitos de “mundo negro” e “universo mestiço” (TEIXEIRA SOBRINHO, 2012) para a leitura da mestiçagem amadiana. O primeiro ressalta e combate o deliberado apagamento de tudo o que é relativo ao negro no Brasil, principalmente os valores que denotam uma identidade específica, uma vivência africano-brasileira. O segundo, por sua vez, quimeriza uma futura sociedade mestiça, isto é, dotada de uma democracia social e identitária – perspectiva que se depreende da noção de mestiçagem alentada por Jorge Amado.
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Especificamente o conceito “mundo negro” aponta para uma segunda e também fundamental diferença entre Amado e Freyre. Em geral o negro gilbertiano reproduz um aspecto de submissão à ordem vigente, adaptando-se docilmente à escravidão, o que enforma uma representação denotativa de natural subalternidade. Ora, insubmissa é a ficcionalização do povo de santo em face da impossibilidade de os orixás adentrarem a Igreja, como em O compadre de Ogum. Da mesma forma, insurrecta é a manifestação dos habitantes do Mata Gato, capitaneada por Jesuíno Galo Doido em Os amigos do povo. E o que dizer de Pedro Archanjo, Lídio Corró, Procópio, Majé Bassan e Major Damião? Onde a passividade típica dos negros retratados em Casa-Grande & Senzala?
Se o negro gilbertiano chancela a ordem colonial, a representação amadiana corresponde ao exato oposto: contesta-a, rejeita-a, reescreve-a. O negro alcançado pela ficção de Jorge Amado afirma-se, sobretudo.
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Ora, na exata medida em que a personagem negra afronta a sociedade racista e excludente para se afirmar, estabelece-se a terceira e principal distinção entre os universos de Jorge Amado e de Gilberto Freyre, qual seja, o lugar do negro.
A despeito da ênfase com que Gilberto Freyre focaliza o negro em suas obras, não é bem um povo afro-brasileiro dotado de um
ethos negro que se projeta e vivifica a partir de suas tantas páginas. Antes, um povo homogeneamente mestiço sob a diretriz de uma genealogia lusitana – daí Freyre reconhecer adaptações e “amolecimentos” promovidos pelo negro e pelo indígena à cultura do branco colonizador, mas rejeitar vislumbrar um Brasil que se teça primordialmente pelos valores culturais do negro ou do índio.
Noutro plano situa-se o Brasil de Amado. Seus enredos são muitas vezes condicionados por valores culturais negros, como demonstra Gildeci de Oliveira Leite (2008). Deste modo, é possível afirmar não apenas o protagonismo de personagens negras, mas, também, e principalmente, o protagonismo de um
ethos negro. “O nosso umbigo é a África”, ressalta Jorge Amado ao seu entrevistador, Gilberto Gil (TEMPO REI, 1996).
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O termo mestiçagem é, em si, problemático porquanto historicamente implica preconceitos, apagamentos e branqueamentos dissimulados. Não sem motivo, o ideário da “mestiçagem” quase invariavelmente está relacionado com a manutenção do poder e da ordem dominantes, pretensamente brancos.
Jorge Amado, porém, alcança enunciá-la de forma singular, isto é, concebê-la e representá-la livre das incidências estigmatizantes ou obliterantes que tradicionalmente o conceito comporta. No que concerne especificamente ao negro, ao invés de desvanecê-lo em tons mais claros de pele e cultura, o romancista baiano o ficcionaliza na justa medida dos valores culturais que dimanam do
continuum África-Brasil e que delimitam uma identidade negra na margem oeste do Atlântico-Sul.
O povo que fulgura nesta concepção singular de mestiçagem amadiana não é, portanto, tão somente mestiço: expande-se para além das várias limitações deste conceito na medida em que se configura, se assume e se afirma sobretudo negro – um povo negromestiço.
REFERÊNCIAS
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TEIXEIRA SOBRINHO, Antonio Carlos Monteiro.
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana. 2012. 285f. Dissertação (Mestrado em Estudo de Linguagens) – Universidade do Estado da Bahia. Campus I. Programa de Pós-graduação em Estudo de Linguagens.
Antonio Carlos Monteiro Teixeira Sobrinho
Mestre em Estudo de Linguagens e professor do Centro Universitário Jorge Amado – Unijorge. Possui artigos a respeito da obra amadiana publicados em livros, revistas acadêmicas e jornais. Ocupa-se dos estudos de Literatura Brasileira e de Literatura Baiana, nos quais investiga representações culturais e identitárias. Atualmente, dedica-se ao projeto “Jorge Amado – uma ética para o porvir”, de título ainda provisório, com o qual ingressou no Doutorado em Literatura e Cultura do Programa de Pós-graduação em Letras da Universidade Federal da Bahia (UFBA). Atua também como membro do comitê soteropolitano do Programa Nacional de Incentivo à Leitura – PROLER Salvador. E-mail:
tonysobr@hotmail.com
[1] Este texto reproduz em notas parte da argumentação e das conclusões alcançadas na dissertação
Um povo negromestiço ou o que há de singular na mestiçagem amadiana, defendida em março de 2012 no Programa de Pós-graduação em Estudo de Linguagens (PPGEL), da Universidade do Estado da Bahia (UNEB), Campus I - Salvador A pesquisa foi financiada pela CAPES e orientada pelo Prof. Dr. Carlos Augusto Magalhães. Registrem-se aqui os agradecimentos. Uma cópia integral da dissertação está disponível no sítio eletrônico do PPGEL.
Antonio Carlos Monteiro Teixeira Sobrinho: Mestre em Estudo de Linguagens e professor do Centro Universitário Jorge Amado – Unijorge. Possui artigos a respeito da obra amadiana publicados em livros, revistas acadêmicas e jornais. Ocupa-se dos estudos de Literatura Brasileira e de Literatura Baiana, nos quais investiga representações culturais e identitárias. Atualmente, dedica-se ao projeto “Jorge Amado – uma ética para o porvir”, de título ainda provisório, com o qual ingressou no Doutorado em Literatura e Cultura do Programa de Pós-graduação em Letras da Universidade Federal da Bahia (UFBA). Atua também como membro do comitê soteropolitano do Programa Nacional de Incentivo à Leitura – PROLER Salvador. E-mail:
tonysobr@hotmail.com