IL LIBRO: "Capo Verde un luogo a parte. Storie e musiche migranti di un arcipelago africano" di Marco Boccitto
Ornella Gaudio
Il mare della Ilha di Santiago Capo Verde. Foto di A.R.R.
“ Capo Verde non è granché verde, ma colori ne avrebbe da vendere. Oltre ai gialli che crepitano a terra e agli azzurri soprastanti , a intrigare è l’indiscriminata proliferazione di sfumature assunte dalla pelle dei capoverdiani  di generazione in generazione. Un rebus antropologico che è la storia stressa di questo luogo, il frutto dolcissimo delle circostanze feroci da cui discende la sua gente” così l’incipit di Capo Verde un luogo a parte. Storie e musiche migranti di un arcipelago africano, (Roma, ed. Exòrma, pp. 169) di Marco Boccitto. Giornalista e musicologo lavora a Radio 3 e, come recita la sua biografia,  “ascolta e fa ascoltare musica da una prospettiva spudoratamente afrocentrica”.

Il libro è pensato in due parti. La prima affronta la parte storica, l’origine delle arcipelago di Capo Verde e della sua gente. Le lacrime di terra che formano questo arcipelago hanno incrociato l’avidità dei navigatori e l’ambizione della corona portoghese di trovare ricchi regni nell’ultramar,  la posizione invitante le rendeva avamposto ideale per raggiungere tutte le altre colonie. In realtà la scoperta avvenne grazie a due italiani che si contendono il primo approdo tra il 1456 e il 1460 Alvise da Cà Mosto, veneziano e Antonio da Noli, genovese. L’arrivo sulle isole più occidentali del portoghese Diogo Gomes ne sterzano il destino e la storia.

La colonizzazione non aveva come scopo quello di migliorare le condizioni di vita dei nuovi paesi. Il desiderio che muoveva i colonizzatori era quello dell’impresa dell’Eldorado, ritrovare oro e merci varie che avessero un forte valore di mercato e utili a giustificare e  ripagare i grandi indebitamenti grazie ai quali erano finanziate le imprese. La sorte di Capo Verde è identica a quella di tanti altri luoghi: sfruttare e non preservare.

Come erano prima queste isole? Dieci isole, di cui solo nove abitate: Brava, Fogo, Santiago e Maio sono le isole di Sottovento, quelle a sud; Ilha do Sal, Boavista, São Vicente, São Nicolau e Santo Antão sono le isole di Sopravento. L’equilibrio, già fragilissimo,  tra il verde delle isole e le piogge, è stato alterato dallo sfruttamento del legname destinato ai cantieri portoghesi, un equilibrio così fragile che non è più stato possibile ricomporre. La siccità, non più sostituita dall’humus e dall’umidità custodita dalle piante, segna per sempre il destino delle isole. La semina "simentera”,  diventa un atto di fede, invocando come propiziatorie le boas aguas, cercando di strappare qualcosa a questa terra in virtù di questa fede e dei colpi di zappa.

L’identità di Capo Verde va formandosi nel tempo: schiavisti e schiavi dal Gambia e dalla Guinea,   wolof e portoghesi o mercenari. La composizione antropologica è impossibile da ricostruire e ognuno ha contribuito alla nascita della nazione di Capo Verde fissando in questa miscigenação la sua peculiarità: discendenti italiani di Noli, olandesi, inglesi e francesi che attaccavano le isole, ebrei in fuga dalla penisola iberica, confinati.

Il legame che crea l’identità capoverdiana è la lingua creola, il kriolu che ha una struttura derivata dal portoghese. Innesta prestiti da altre lingue europee con una sintassi e esito fonetico di matrice africana, una sorta di esperanto che, pur con piccole varianti da isola a isola, traduce e interpreta l’anima dei capoverdiani. Il creolo acquista la dignità di lingua quando cominciano a circolare nella forma scritta le mornas di Eugenio Tavares, diffuse attraverso “A Voz de Cabo Verde”. Le mornas  raccolgono gli umori nazionalistici che aspirano all’indipendenza dal Portogallo e quelli che predicano un ritorno alle origini.

L’abolizione della schiavitù non ha eliminato lo sfruttamento da parte dei portoghesi. La mentalità coloniale è in grado di trarre vantaggio e mantenere il giogo nonostante tutto. Nel periodo abolizionista nasce una forma nuova di contratto a termine che camuffa, modificandone il nome, la schiavitù.  I contratados erano  costretti ad accettare  “servitù a contratto” rinnovabili, l’alternativa era la prigione o la deportazione. I risultati erano lavoro forzato e condizioni di vita estreme a São Tomé e Angola. Questa è una delle pagine più dolorose della storia di Capo Verde “lamentata” nella canzone Sodade , portata al successo da Cesaria Evora.

Siccità e carestie, fame, colera, invasioni di cavallette si susseguono  nel corso dei secoli  arrivando a decimare la popolazione fino alla “grande fame” del ’46-47 , ancora presente nella memoria e nelle canzoni. L’emigrazione diventa necessaria, “ mettere tanto mare tra sé e questo posto di capre e pietre, rocce sterili martellate dal vento e maltrattate dall’oceano”. Partire, quindi, partire per un altrove ineluttabile, ma non desiderato. Partida e regresso, la determinazione di affrancarsi da una situazione di vita difficile e il desiderio di restare o di tornare, creano uno spazio emotivo che è diventata la narrazione dell’anima dei capoverdiani.

I primi emigranti si imbarcavano sulle navi baleniere che da Boston raggiungevano l’isola di Fogo, una emigrazione massiccia e tutta maschile che andrà a creare una forte comunità capoverdiana nel New England. Comunità che ha mantenuto forte il legame con le isole, che protegge la propria identità culturale  tanto da avere il riconoscimento del creolo con programmi bilingue nelle scuole. A Capo Verde è sempre ora di partire, hora di bai. Altre migrazioni seguiranno, altri flussi con destinazione Lisbona, Amsterdam, Parigi, Roma.  In queste città le comunità capoverdiane vivono la loro terra e la loro lingua, mantengono i contatti con le notizie e con la musica che viene dalle isole, facendone sintesi e rielaborazione. E quello che viene fuori  tornerà  in qualche modo sotto nuova forma nell’arcipelago fatto da una manciata di terra sfuggita alle mani di Dio.

Le isole hanno bisogno di affrancarsi dal controllo portoghese, hanno bisogno di scelte politiche e economiche che possano garantire una vita dignitosa ai suoi abitanti. Amilcar Cabral, intellettuale, poeta, agronomo sembra avere la forza per realizzare il sogno di indipendenza di Capo Verde. Fonda il  PAIGC, ha l’appoggio della gente ha la competenza, l’intelligenza, il carisma e le idee. Nella lotta di liberazione Capo Verde si unisce alla Guinea Bissau di Sékou Touré, idealmente e fattivamente insieme per l’indipendenza. La forte personalità di Amìlcar Cabral e il suo credito internazionale saranno,  probabilmente, la causa alla base del suo misterioso omicidio il 20 gennaio del 1973. L’indipendenza, per la quale aveva tanto lottato, arriva il 24 settembre del 1973. “Che tuo figlio possa vivere un giorno nel mondo dei tuoi sogni” rimane l’auspicio di Amìlcar Cabral per la sua e ogni altra gente.

La musica e la vita creativa che ruota intorno ad essa è protagonista della seconda parte del libro di Marco Boccitto. Il legame dei capoverdiani con la musica è così forte che diventa difficile da raccontare. In ogni famiglia ci sono uno o più musicisti, autodidatta o meno, con cavaquinho, gaita, chitarra o violino. La musica è l’arte più esercitata sulle isole. La morna e la coladeira sono le due forme musicali più note con cui si raccontano i capoverdiani. L’africanità e la religiosità è data dalle forme orali del finaçon e batuque, il cerimoniale è affidato alle donne e ha una funzione sociale e poetico celebra nascite, matrimoni o ci si riunisce anche solo per benedire il raccolto. La cantante al centro della scena comincia con ritmo pacato, accompagnato dal battito delle mani e dai panos, un tessuto attorcigliato che teso sulle ginocchia e battuto produce il suono di un tamburo. Il coro delle altre donne, accompagna il racconto di  aneddoti di vita coniugale o di attualità locali.

Distanti da queste forme musicali sono i più recenti hip hop e lo zouk, colonne sonore delle strade di Capo Verde, la musica diffusa dagli aluguel i minivan che garantiscono gli spostamenti sulle isole e che si trasformano nelle più aggiornate sale d’ascolto. La capacità di assorbire e trasformare quello che arriva sotto forma di musica è una peculiarità di questo popolo tanto che per l’hip hop si è pensato una sorta di Bronx capoverdiano- che nella realtà non esiste - uno scenario suburbano e malfamato che consentisse il racconto gangasta. La musica diventa l’elemento fondante e cardine dell’identità nazionale, la forza che percorre la storia di Capo Verde e l’elemento che, più di altri, ne consente il racconto.  

Capo Verde un luogo a parte è una guida attenta e documentata, ritroviamo la musica, la storia e i colori. La passione e la competenza emergono in un racconto preciso e misurato della storia di un popolo e della sua terra. Queste isole, quasi a noi sconosciute fino a qualche tempo fa, hanno nel testo di Boccitto un messaggero di universalità e di possibilità. Non si racconta l’identità di un popolo, perché essa è mutevole ma si danno gli elementi per comprendere questa mutevolezza. La difficoltà di raccontare senza incorrere in stereotipi e facili classificazioni è superata dall’assenza di idealizzazioni. Non c’è un qui e un altrove ma solo Capo Verde “tra tanto partire e tanto tornare”.
 

Ornella Gaudio si dedica agli studi e all’approfondimento della letteratura brasiliana e letterature dei Paesi dell’Africa lusofona. Ha collaborato in qualità di giornalista a Periferie, rivista letteraria italiana.