AMARE MADRE TERRA E MADRE ACQUA: MANUEL LOPES E LA TERRA CAPOVERDIANA
Redazionale
"Amare Madre Terra e Madre Acqua con tutta la forza e la purezza dell'Amore, comprenderle come il bambino comprende il linguaggio della madre, il suo canto, le braccia che lo cullano, il significato di stare tra quelle braccia. Circondato da esse impara a conoscere la sicurezza e la protezione contro le minacce sconosciute" . E' una frase tratta dall'opera "Chuva Braba" scritta da Manuel Lopes, il più grande nome della letteratura capoverdiana del secolo XX. Romanziere, poeta, saggista e pittore, intellettuale e artista, nel corso dell'intera vita ha costruito e ricostruito spazi preziosi per l'identità capoverdiana e per la sua Terra.

Ha avuto sempre il coraggio di affermare l'incontestabile indipendenza letteraria di Capoverde attraverso il racconto della realtà della sua gente, misturando la lingua portoghese alle espressioni in creolo. Scomparso nel gennaio 2005, Manuel Antonio Dos Santos Lopes era nato il 23 dicembre 1907 nell'isola di São Nicolau e, ancora piccolo, si trasferi' con la famiglia a Mindelo, in São Vicente, un'altra delle isole che compongono l'arcipelago di Capo Verde. Si tratta di isole in maggior parte desertiche e brulle, preda di siccità e carestie. Nel 1496 gli italiani Alvise Cadamosto e Antoniotto Usodimare, diretti verso le coste occidentali dell'Africa, descrissero queste terre come luoghi ricchi di vegetazione: "isole coperte da numerosi alberi verdi, belli, grandi che crescono lungo la spiaggia come volessero abbeverarsi all'acqua dell'Oceano…"

Capo Verde porta oggi in molte isole segni indelebili e ben visibili  del disboscamento e dello sfruttamento umano ad opera dei portoghesi che le occuparono nel 1495 dominandole fino al 1975. Divennero per i portoghesi una risorsa fondamentale di materie prime e alimenti, vi impiantarono grosse distese di canna da zucchero (che nei secoli impoverirono il terreno fino a desertificarlo), incrementarono l’allevamento, la pesca e le popolarono con africani liberi, provenienti dal Senegal e con agiati coloni europei, proprietari di grandi appezzamenti di terra. Ebbe origine una società mulatta fortemente ancorata al Portogallo, dipendente in tutto dalla "madre patria" che aveva il monopolio anche sul commercio estero delle isole.

La prosperità delle colonie dipese soprattutto dalla loro favorevole posizione geografica: infatti la rotta principale portoghese del commercio degli schiavi prevedeva lo scalo a Capoverde, a Ribeira Grande, nell’isola di Santiago ove gli schiavi, originari di altri Paesi africani, venivano appesi al pelourinho (una sorta di gogna) per essere selezionati, venduti per poi proseguire il viaggio verso il Brasile. Lì, nella città di Salvador de Bahia, venivano appesi ad un altro pelourinho nel mercato degli schiavi. La spiaggia di Ribeira Grande, la piazza e il piccolo gruppo di case, ristrutturate e dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco, è ancora oggi un luogo carico di dolore:   la terra e il mare paiono aver assorbito le grida  e le sofferenze di quanti furono ridotti in schiavitù. 

A Capo Verde la letteratura coloniale si sviluppò a partire dal secolo XIX  e negli anni ‘20 divenne veicolo di propaganda di regime. Il suo declino iniziò nel 1936 grazie ad una forte presa di coscienza sociale e culturale degli intellettuali africani che portò da un lato alla innovazione letteraria e dall’altro alla liberazione dal colonialismo fascista del Portogallo di Salazar. Manuel Lopes collaborò attivamente al risveglio della dignità nazionale nella sua amata terra anche se all'età di 14 anni aveva dovuto lasciare l'isola per andare a risiedere a Coimbra con la famiglia. Questo sradicamento precoce durò solo 4 anni, ma lasciò nella memoria dello scrittore un segno indelebile, avvertibile nel sentimento di nostalgia che attraversa tutta la sua opera, in modo particolare la  poesia. 

Tornato a São Vicente,  trovò lavoro al Telegrafo inglese fino al 1944 quando lasciò di nuovo Capo Verde. I suoi primi scritti furono pubblicati nel “Novo Almanach de lembranças luso-brasileiro” tra il 1927 e il 1930, ma affermò di essere nato letterariamente nel 1931 quando le sue rubriche apparvero nel giornale "Noticias de Cabo Verde".

I soggetti che trattava erano solo capoverdiani: Mindelo, il poeta Eugenio Tavares, la gioventù capoverdiana ecc.  Nel 1932 diede alle stampe la sua prima opera dal titolo "Pául" che è anche il primo libro di prosa pubblicato a Capoverde. Si tratta di una cronaca di trenta pagine in cui descrisse le bellezze della vallata di Pául a Santo Antão. A quell'epoca Manuel scoprì la poesia modernista portoghese, la narrativa baiana di Jorge Amado, “il ciclo della canna da zucchero”, scrittori brasiliani come Graciliano Ramos, José Lins do Rego, Manuel Bandeira.

Questa letteratura provocò grandi entusiasmi nel piccolo gruppo di amici al quale spesso si univa per analizzare la situazione dell'arcipelago. Illuminò la loro strada: infatti Baltasar Lopes propose che ognuno scrivesse poesie, cronache, studi per dare voce al reale capoverdiano. Anni dopo lo stesso Baltasar ricordò: "Insieme ad un gruppo di amici cominciai a pensare al problema di Capo Verde. Ci preoccupava soprattutto il processo di formazione sociale di queste isole, lo studio delle radici di Capo Verde". Il proposito fu di tenere i piedi ben piantati nella terra "fincar os pés na terra".

Nel 1936 Baltasar Lopes, Manuel Lopes e Jorge Barbosa fondarono a Mindelo il movimento culturale "Claridade" e la rivista omonima. Claridade vuol dire chiarezza, e il movimento omonimo venne fondato proprio per fare luce sulla vita capoverdiana. I “claridosos” espressero la forte necessità del cittadino capoverdiano di affrancarsi dalle secolari influenze portoghesi. I tre fondatori non avevano né un programma, né un manifesto. Spinti da forte orgoglio nazionale, presero spunto da temi e problematiche vissute dalla maggioranza della popolazione quali l'emigrazione, le difficoltà climatiche, le scarsezze alimentari dovute a lunghi periodi di siccità, la lingua e la società creole, la musica, il batuque, la morna.

Nacque così la rivista “Claridade”, attiva fino agli anni ’60 e la sua prima direzione venne affidata a Manuel Lopes. All'epoca Manuel viveva nell'isola di Santo Antão, futuro teatro dei suoi racconti e romanzi. Era un piccolo proprietario terriero e grazie alla terra subì un cambiamento radicale. Parlava con i contadini, osservava, prendeva nota, registrava. A questo periodo risale la genesi di un'opera che prenderà corpo anni dopo durante i quali rivivranno momenti ed emozioni del passato, personaggi, paesaggi e scene della vita quotidiana. Nel 1941 sull'arcipelago si abbattè una catastrofe: una terribile secca provocò la morte di 24.000 capoverdiani. Segnato da questo dramma Manuel Lopes tornò a Mindelo, dove la Western Telegraph Company gli propose di riprendere il suo mestiere, e testimoniò gli atroci effetti della secca a Santo Antão nel suo magistrale saggio "Os meios pequenos e a cultura" e nel libro di poesie  "Poemas de quem ficou".

Nel 1944 lasciò Capo Verde e visse nelle Azzorre fino al 1955. Visse a Horta ove si dedicò alla pittura realizzando anche due esposizioni. Poi il suo itinerario professionale lo condusse a Carcavelos, vicino Lisbona. Le sue prime opere di finzione nacquero in Portogallo. Raccontò con particolare maestria la tragedia della siccità a Capo Verde che fino alla metà del secolo XX impedì lo sviluppo dell’agricoltura e causò migliaia di morti. In una sua opera la siccità divenne quasi un personaggio in grado di influenzare la vita del capoverdiano e imprimergli una dualità che oscilla tra il voler rimanere e il dover partire. “Chuva Braba" (1956) , "O galo cantou na baia"(1959) e "Os flagelados do vento leste" (1960) vennero tradotti in varie lingue e insigniti dei premi letterari “Fernão Mendes Pinto”  e “Meio Milenio do Achamento das Ilhas de Cabo Verde”.

Manuel Lopes conosceva bene l'anima del suo popolo tanto che trasponeva nei testi figure e situazioni reali. Conosceva perfettamente la fragilità del capoverdiano davanti alla natura da cui dipendeva interamente. Conosceva il terribile contrasto tra i sogni di felicità e la realtà della lotta per la vita. Nelle sue opere parla della tristezza, della saudade, della frustrazione ed esprime come pochi la paura costante del popolo davanti alla secche, il desiderio irresistibile di andare in altri mondi. Allo stesso tempo riesce ad esprimerne l'amore smisurato per la propria terra, il desiderio di  legare l’anima alle radici di quel suolo: è il  voler partire e dover rimanere (querer partir e ter que ficar), è il voler rimanere e dover partire (“querer ficar e ter que partir").
 
E' la storia del popolo capoverdiano, della disperazione e della speranza. Il fenomeno della emigrazione a Capo Verde per anni si è presentato come un impulso di massa causato da una realtà drammatica che la stessa terra spiega senza bisogno di parole.  Manuel Lopes nel romanzo "Flagelados do vento leste" raccontò ancora una volta la terribile secca e la conseguente disperazione nell’isola di Santo Antao.

A questo proposito affermò: “Ho scelto l'arma più efficace per uno scrittore: la denuncia di una situazione storica senza puntare il dito accusatorio. L’intento è stato quello di trasmettere con umiltà agli altri l'esperienza della perplessità e della speranza senza fare demagogia. Ho voluto comunicare che in alcune indifese isole dell'Atlantico, in cosiddetta piena civilizzazione occidentale, in questo secolo di solidarietà, un male devastatore esigeva la presenza immediata di una terapia adeguata per il recupero e la sopravvivenza di un popolo che osava contrastare i destini della natura".

Comprendiamo il desiderio di voler partire se pensiamo alla drammatica immagine di un popolo che rimane per anni in attesa della pioggia, ma l’emigrazione implica una rottura e un penoso processo di aggiustamento. Molti si adattano a vivere lontano, ma sono sempre ispirati da Capoverde. Vivere con la terra nel cuore spinge inevitabilmente al ritorno, un ritorno desiderato da chi sa che può recuperare la propria anima tornando in quella terra sacra, ma desiderato anche da chi è rimasto e riceve le novità venute da altri mondi.

Chi parte e chi rimane è indissolubilmente legato alle radici della propria terra. Ecco perché nel 1936 sorsero poeti che con lo strumento letterario proclamarono l'ora della difesa della terra, del capoverdiano,  dell'identità nazionale.  Manuel Lopes nelle sue opere ha chiesto ai capoverdiani di rimanere nella loro terra per sanare la grave ferita di una Madre che vedeva continuamente i suoi figli partire. Ha testimoniato il coraggio, la determinazione e il sentimento di un popolo ancora triste per il dolore di sofferenze secolari.