Cenni sulla Emigrazione dei Veneti in Brasile: identità e memorie
Antonella Rita Roscilli

                                                                                                                                                                                             Nuovi Percorsi, 10 ottobre 2020
Dei milioni di emigranti italiani che nell’800 e nel ‘900 si trasferirono in Nord America, Sud America, Australia e Canada, alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita migliore, moltissimi appartenevano al settentrione della penisola italica. Si imbarcavano su navi carretta che, non di rado, neppure giungevano a destinazione. Tanti di coloro che affrontavano il viaggio provenivano dal Veneto, regione che in epoca protostorica era occupata dal popolo dei Veneti, secondo una delle leggende, originari della Troade e della Paflagonia in Anatolia, oggi Turchia. Già prima dell'annessione al Regno d'Italia, la terra veneta contava su una forte tradizione migratoria: si partiva specie dalle zone pedemontane, soprattutto dalle province di Vicenza, Treviso e Belluno.
                                                                                                                                                                                                 
Inizialmente il fenomeno fu di carattere stagionale e gli emigranti si dirigevano specie verso Austria, Germania e Ungheria. Ma, a partire dall'unificazione d'Italia, tutto il Veneto, e non solo, subì una profonda crisi economica che diede inizio alla grande emigrazione attraverso le rotte transoceaniche. Questa fase si sarebbe protratta fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Importante in questo senso è poter avere ricordi, memorie autobiografiche tramandate che fissano l'attenzione sui motivi che spinsero tanta gente a emigrare, come sottolineato dallo storico Emilio Franzina [i].  
 
Dopo l'Unità d'Italia le condizioni di tutti i piccoli agricoltori peggiorarono: vennero colpiti da imposte eccessive, i raccolti scarseggiavano, c'era fame, miseria e freddo da patire d'inverno, analfabetismo, malattie come la pellagra, poca salute. Unica alternativa fu quella di partire e andarsene oltreoceano. Una delle mete preferite era il Brasile, paese che offriva terra e ampi spazi da popolare con le colonie, oppure un lavoro presso le grandi fazendas.
 
Inizialmente gli emigranti seguirono  strade clandestine, generalmente passavano attraverso il nord, attraverso il porto di Marsiglia, come attestato da diversi documenti sui viaggi che ritroviamo negli Archivi brasiliani,  poiché il governo italiano tendeva ad impedire le uscite. La libertà di emigrare fu riconosciuta ufficialmente dalla classe dirigente italiana con la legge del 1888 che costituì l’anno del primo intervento ufficiale. Perciò nel 1892 in Italia c’erano ben 30 agenzie di emigrazione e 5.172 subagenti che si aggiravano convincendo la povera gente a partire [ii].
 
Gli emigranti italiani viaggiavano con volti tristi, ma speranzosi, su navi sovraffollate, autorizzate a trasportare un numero di persone tre volte inferiore di quello che trasportavano. Fra il 1880 e il 1924, solamente in Brasile entrarono più di 3,6 milioni di immigranti, di cui il 38% erano italiani. I primi ad arrivare furono proprio i veneti, seguiti da campani, calabresi e lombardi. La partenza era  considerata come una sorta d'impresa e spesso, per rimediare il denaro e acquistare il biglietto della nave, vendevano pezzi di terra o chiedevano prestiti. A volte tutta la famiglia metteva a disposizione i propri risparmi per permettere ad uno dei membri di tentare la fortuna al di là dell'oceano.
 
Per molti il Brasile rappresentava l'America, la Merica, la terra del Sole, la terra della Cuccagna,  ove avrebbero potuto ricominciare  la  vita, magari con un pezzo di terra nelle colonie, o mettere da parte un bel gruzzolo lavorando nelle piantagioni di caffé.
 
Dopo il 1902 il flusso migratorio diminuì a causa della decisione del governo italiano di proibire l'emigrazione sussidiata, in seguito alle denunce sulle drammatiche condizioni degli italiani che venivano considerati come schiavi bianchi nelle fazendas di piantagioni di caffé e ne abbiamo testimonianza attraverso la stampa dell'epoca o opere, tra le quali vogliamo qui ricordare "Città di Roma" (ed. Sperling & Kupfer) della memorialista Zélia Gattai, moglie dello scrittore Jorge Amado, quando  ricorda dei suoi nonni materni veneti, ed in particolare di suo nonno che si ribellò davanti alla visione delle frustate, a Cândido Mota, nell'interno dello stato di São Paulo.
 
La storia dell'immigrazione viene divisa in tre fasi a partire dal 1877, data in cui giunse il primo gruppo significativo di italiani nello stato di São Paulo. Il primo periodo va sino al 1895: è la fase dell'emigrazione italiana su vasta scala, in cui l'immigrante convive con gli africani ufficialmente liberi, ma in realtà ancora schiavizzati in molte fazendas. Il secondo periodo va dal 1895 al 1905: l'immigrazione in questo periodo registra però una diminuzione per poi rifarsi nel terzo periodo: dopo il 1905, con l'inserimento dell'elemento portoghese e spagnolo.[iii]
 
La percentuale di veneti che raggiunsero il Brasile come emigranti raggiunse il 47,68% del totale; addirittura in alcune regioni del sud del Brasile si raggiunse anche il 90%. Anche coloro che arrivarono in seguito al sud, provenivano soprattutto dal Veneto e in particolare da Vicenza, e poi dal Trentino, dal Tirolo, dalla Basilicata e dall'Abruzzo[iv]. Le condizioni di arretratezza dell'agricoltura e dell'industria, l'avvento in Italia dello stato liberale unitario e la pressione fiscale furono solo alcuni fattori che scatenarono la partenza degli emigranti [v]. La fine della schiavitù in Brasile (decretata con la Lei Aurea firmata dalla principessa Isabel, figlia dell'imperatore  Dom Pedro II e di donna Teresa Cristina di Borbone, sua sposa) liberò ufficialmente gli africani schiavizzati e coincise quindi con l'immigrazione di massa di italiani.
 
I fazendeiros fecero talmente pressione sui poteri pubblici che solamente nel 1888 giunsero a São Paulo 80.749 italiani con viaggio pagato da loro. I nuovi arrivati con il lavoro avrebbero dovuto ripagare il viaggio e ciò li rendeva sottomessi al padrone fin dal loro arrivo. Nel 1887 furono registrati 27.323 italiani che sommati ai dati precedenti arrivano ad un totale di 108.000 individui per due anni. Dal 1874, anno in cui avvennero le prime registrazioni degli arrivi, fino al 1888, i fazendeiros del caffè ricevettero 129.040 immigranti italiani e nei tre anni successivi ne giunsero altri 124.502.[vi]  
 
Già dal 1877 con la crisi economica ed agricola che si acuiva furono tanti gli emigrati provenienti soprattutto dalle zone di montagna del Veneto. Per concludere, possiamo quindi dire che tra i motivi che scatenarono la diaspora dei veneti, due furono i principali: il primo è costituito dalle precarie condizioni di vita e di lavoro che colpirono non solo gli strati sociali più bassi ma anche i piccoli proprietari che non vennero aiutati dallo stato unitario. Il secondo motivo è da ricercare in generale nella politica di popolamento di alcune province del paese da parte del governo brasiliano, terre deserte, ai confini con altri paesi e per questo potevano essere facilmente invase. Urgeva popolarle insieme ad un altro obiettivo da perseguire che era quello di "sbiancare" la popolazione.  Perciò inviarono emissari, e iniziarono propagande per attirare manodopera agricola europea verso il sud del Brasile.
 
Molti degli italiani emigranti veneti di quell' epoca provenivano, come abbiamo visto, da una società prettamente contadina, rurale e si trasferirono in una terra tropicale nella quale dovettero adattarsi soprattutto a climi, animali e cibi differenti. Eppure contribuirono fortemente al suo  sviluppo e lasciarono nel nuovo paese una profonda impronta di ciò che portavano nell' anima: le tradizioni del loro paese natìo, insieme a un patrimonio di valori etici e morali, formatisi proprio in seno alla civiltà contadina veneta.   

Per esempio, sui monti del Rio Grande do Sul non c’erano che foreste vergini: i contadini veneti, tra enormi sacrifici, in pochi decenni le trasformarono in ordinati vigneti con fiorenti città commerciali. Lavorarono, lavorarono molto, e con il tempo rimodellarono la stessa struttura sociale che fino ad allora aveva conosciuto solo i grandi latifondi lavorati da africani schiavizzati. Dopo l'invasione da parte dei portoghesi di questa terra di dimensioni continentali, abitata da varie popolazioni indigene che tuttora lottano per vedere riconosciuti i loro diritti sui territori, possiamo dire che il Brasile moderno è stato costruito dagli emigranti italiani, spagnoli, portoghesi, africani, giapponesi, tedeschi, polacchi ecc. E tutti portarono con sè le loro tradizioni. Per questo il Brasile è un paese policentrico, alla cui costruzione continuano a contribuire sia tutte le componenti tradizionali, che quelle derivate dall’emigrazione: il Samba appartiene al Brasile così come la Festa dell'Uva, la Capoeira o il Cordel del Sertão. Comunque, quando il governo brasiliano decise di riconoscere l’enorme debito di riconoscenza dovuto agli italiani, scelse la città di Caxias do Sul. Qui il presidente Getulio Vargas inaugurò nel 1954 il grandioso Monumento nazionale all’immigrato sul quale campeggia la scritta « A nação brasileira ao imigrante ».
 
Ma come si salvarono, come si adattarono alla nuova vita quegli italiani che giunsero nella nuova Terra dopo viaggi estenuanti su navi carretta? A salvarli, oltre al clima sano delle montagne e con stagioni ben modulate, fu il senso comunitario, la solidarietà reciproca, il senso religioso forte che avevano portato dall’Italia, e  fra gli elementi più forti di coesione vi fu la lingua. Nessuno di loro si esprimeva in italiano corretto, ma tutti parlavano il dialetto veneto e ciò li univa molto.
 
L’isolamento e il distacco dalla madrepatria mantennero sempre vivo il Talian, quel dialetto che è sopravvissuto in Brasile, sebbene con influssi di altri dialetti italiani e del portoghese. Eppure il Talian non è considerato una lingua creola, poiché "la grammatica e il lessico rimangono fondamentalmente veneti". Nel 2009 il Talian venne dichiarato parte del patrimonio linguistico negli Stati del Rio Grande do Sul e di Santa Catarina, lingua co-ufficiale, insieme al portoghese, nel comune riograndense di Serafina Corrêa-RS, la cui popolazione è al 90% di origine italiana: ossia “Língua de Referência Cultural Brasileira”.  Nel 2014 venne dichiarata parte del patrimonio culturale del Brasile.
 
Secondo la stima divulgata in quella occasione, parlerebbero in Talian circa 500.000 persone in 133 città del Rio Grande do Sul, Santa Catarina e Paranà, oltre che nei comuni di Santa Teresa e Venda Nova do Imigrante nell'Espírito Santo. La diaspora veneta ha interessato molti paesi nel mondo. Secondo dati del 2008 vivevano all'estero 260.849 cittadini veneti e la maggior parte di essi risiedeva in Brasile (57.052 veneti), negli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, São Paulo e Espírito Santo. I nomi di alcuni comuni del Brasile meridionale, come Nova Schio, Nova Bassano, Nova Bréscia, Nova Treviso, Nova Veneza, Nova Padova e Monteberico, denotano l'origine veneta degli abitanti che conservano nel cuore l'amore per la regione da cui provenivano i loro antenati italiani.  


[i]  E. Franzina, Una patria straniera: sogni, viaggi e identità degli italiani all'estero attraverso le fonti
popolari scritte. Verona: Cierre, 1997
 
[ii] Roscilli, Antonella Rita. Migranti italiani: una drammatica epopea. In Patria Indipendente, 7 dic. 2018. https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/servizi/migranti-italiani-una-drammatica-epopea/
 
[iii] R. Costa, L. A. De Boni, La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile. Torino: Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, pp.11-12.
 
[iv] M. Sabbatini, E. Franzina, I veneti in Brasile nel centenario dell'emigrazione, (1876-1976). Catalogo della mostra (Vicenza, 1977) Accademia Olimpica, 1977, p.5.
 
[v] 17 M. Sabbatini, E. Franzina, I veneti in Brasile nel centenario dell' emigrazione. (1876-1976). Catalogo della mostra (Vicenza, 1977) p.6.
 
[vi] Costa, L. A. De Boni, La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile. Torino: Fondazione Giovanni Agnelli, 1996, p. 9