Le canzoni, che ora esaminiamo, hanno in comune fatti legati alla nascita e allo sviluppo del fenomeno Trio Elétrico. In “Viva Dodô e Osmar”, il tema è la storia della creazione della chitarra baiana: Viva Dodô e Osmar, a história da criação da guitarra baiana é o tema: “Dodô, Dodô/ Antes do gringo/ A guitarra ele inventou/ Osmar, Osmar/ O Carnaval veio trieletrizar/ Logo depois da guerra/ Na minha terra Bahia/ Dois baianos sem compromisso/ descobriram que o cepo maciço/ Evitava o fenômeno da microfonia/ e assim com o nome/ de pau elétrico/ nasceu um dia/ a guitarra na Bahia, Bahia,Bahia”.
Resta inteso che l'intenzione è quella di provocare la ripresa della polemica sull'origine della paternità della chitarra elettrica (“Prima del gringo/ La chitarra che ha inventato”). È noto che la chitarra elettrica è risultato di scoperte ed esperienze intraprese da diversi produttori, soprattutto americani, che associati hanno portato allo strumento. Dodô e Osmar, all'inizio degli anni '40, ottenevano già risultati molto ragionevoli, in termini di prestazioni strumentali, dai loro "paus eletricos", ancor prima dell'esistenza di apparecchiature transistorizzate. Era ancora il tempo delle valvole.
“
Santos Dumont, Dodô e Osmar” trattano lo stesso argomento. Qui, Moraes paragona gli inventori del Trio al padre dell'aviazione, e amplia il significato della creazione del Trio, in quanto, tra le righe, fa riferimento al fatto che il Trio non è solo l'elettrificazione degli strumenti, ma anche tutta la complessa struttura che si attacca al camion.
In “Ligação”, Moraes registra il fatto che i figli di Osmar erano gli eredi del Trio. Del gruppo, oggi fanno parte i fratelli Macedo, e sempre del gruppo fanno parte anche i nipoti dell'inventore. Nella strofa “
É o defilho, a continuação”, il compositore accenna al numero culminante dello spettacolo del Trio, quando Osmar sfidò Armandinho in un pot-pourri di compositori classici (Mozart, Monti, Fritz Kraisler, ecc.) che culminò con Osmar che suonava la sua chitarra coperta da un asciugamano e di spalle.
Le canzoni che seguono hanno caratteristiche molto curiose, sia in termini di testi che di musica. Il primo, “Dodô no Céu”, come musica è un passo-doble, un genere caratteristico dell'universo musicale spagnolo che divenne popolare a Bahia a causa della concentrazione in Salvador di uno dei più grandi contingenti di immigrati iberici.
Per quanto riguarda i testi, composti da Moraes in omaggio a Dodô, scomparso nel 1978, l'autore si pone come messaggero del festeggiato che, dal cielo, saluta il carnevale del Trio. Si tratta di un comportamento caratteristico, individuato da Mikhail Bakhtin
[1][2], come carnevalizzatore nell'universo della letteratura, e quando avviene nell'ambito del carnevale stesso, come nel caso di questa canzone, provoca un forte straniamento. Soprattutto, se osserviamo che oltre al messaggio di Dodô, c'è anche la presenza di Dio che benedice il carnevale ("Ha anche raccontato com'era / Che Dio ha benedetto il carnevale"), in una totale interazione tra il sacro e il profano, tra i vivi e i morti.
In “Todo Pôncio é um Pilate”, oltre a mantenere tratti caratteristici della carnevalizzazione bachtiniana, come nel verso “Fala Boca do Inferno” e giocare con il sacro e il profano, “Xinga Deus e o diabo”, per esempio, fa riferimento alla carnevalizzazione al poeta Gregório de Mattos e porta un nuovo dato culturale, citando il contesto contemporaneo identificato come post-modernità o tarda modernità. Vale la pena notare che una caratteristica, sia della produzione contemporanea, sia di ciò che viene identificato come comportamento carnevalizzante, è la struttura frammentaria di origini diverse in un processo di bricolage. Sia nella melodia che nel testo, il compositore giustappone diversi elementi. Già all'inizio del brano rivela la mescolanza dei ritmi con cui lavorerà, del Pernambuco, Caraibi e Bahia (“Quem bebe no Beberibe/ Bebe no Caribe/ Bebe na Bahia”), per poi riaggiornare il canto gregoriano in un ritmo contemporaneo, con lo scopo di affermare che la cosa fondamentale è la trasformazione. Questo fatto è evidente negli ultimi quattro versi ("Lascia che il suono bollisca / Versa il brodo / Tagliando un doppio / Ho imparato a vivere"). È nell'ebollizione del “frevo”, nel trabocco, nel passaggio dallo stato liquido a quello gassoso che il compositore trasmuta il “frevo”. Nella sua origine, il “frevo” del Pernambuco è una riformulazione del Dobrado militare suonato in bande.
I brani che seguono trattano degli ingranaggi politici del carnevale, cioè svelano, seppur poeticamente, il retroscena della festa. Sono, infatti, le reazioni dell'autore alle norme istituzionali dei comitati o dei gruppi incaricati di organizzare il carnevale baiano.
In “Caminhão da Alegria”, Moraes parla dell'impossibilità di cercare di “organizzare” il carnevale, dell'incapacità di controllare l'occupazione della piazza quando si avvicina un grande Trio. Ricorda anche l'inefficacia di piccoli gruppi di musicisti, che suonano in luoghi strategici, determinati dal Comune, i “Trios Fixos”, istituiti senza successo alcuni anni prima, un'iniziativa fallimentare che non ebbe successo. Erano ciò che l'autore chiamava "Coreto Careta”. Quell’'anno, Moraes non partecipò al carnevale baiano, andò a o a suonare a New York ("Eu não, eu não/ Eu não, que não ia/ Io vado a Bahia solo/ in camion").
“Cadê o Trio” racconta un fatto avvenuto nel 1984, quando, ancora una volta, per non aver ottenuto il sostegno ufficiale, il Trio di Armandinho, Dodô e Osmar non partecipò al carnevale di Salvador. Quell'anno il gruppo si recò a Porto Seguro e, lungo la strada, il camion si capovolse facendo una curva. Nel brano, oltre a citare il fatto e ad attribuire la colpa dell'assenza del Trio a ("Quem manipula/ e não skip o carnaval"), Moraes cita, anche melodicamente, uno dei suoi più grandi successi carnevaleschi "Festa do Interior".
Sempre in linea critica, ma di altro contenuto, di carattere denunciante, Moraes compone “Carnê do Carná”. Il tema è uno degli aspetti più controversi dell'attuale carnevale baiano: i blocchi con i loro trio “privati”, o meglio, l'industria carnevalesca.
Il Trio Elétrico è stato originariamente concepito da Dodô e Osmar come una manifestazione di piazza per riunire persone di tutti gli strati sociali ed economici. In un vecchio frevo, “Frevo do Trio”, scritto da Osmar, si diceva ("
Pula gente bem/ pula pau de arara/ pula até criança/ E velho babaquara”).
Tuttavia, con l'industrializzazione, la crescita, e con l'aumento della violenza, durante gli anni '70 i trio delle classi borghesi iniziarono ad apparire nelle strade circondati da corde e com guardie di sicurezza, i cosidetti “cordeiros”. La questione dei trio di bloco è controversa, in quanto, da un lato, la struttura impresariale sviluppata dagli organizzatori dei blocos, in linea con le istanze dell'industria turistica, permise la nascita di innumerevoli gruppi musicali i quali sperimentarono nuovi ritmi che originarono la “musica axé”, oltre a incentivare un segmento importante dell'industria fonografica regionale. D’altra parte, è responsabile dell'errata caratterizzazione del carnevale indipendente di strada di Bahia, che ogni anno diventa più settoriale, o meglio, privatizzato, dietro le corde e nei “camarotes” borghesi.
Questo è il tema di “
Carnê do Carná”. Nei versi (“
Foi-se o tempo e a folia/ já não é mais de graça”), il compositore rivela la sua nostalgia per i carnevali che ancora non avevano così tante entità gerarchiche e organizzazione. Osserva giustamente, la situazione della giovane classe media che scambia l'ambiente “familiare” e “sicuro” dei balli nei locali con la sicurezza delle corde nei blocchi (“
Quero sair no bloco/ corda até o pescoço/ Vou sair de turista/ Vou segurando a bolsa/ E a honra da moça/ Que um dia se arrisca”). Satiricamente, il compositore si riferisce all'individuo che, circondato da tutto un apparato di sicurezza e organizzazione (servizio medico e bar privato all'interno delle corde, per esempio) si veste da festante come colui che “
tenta soltar a franga”.
In
Porque parou, parou porquê, il compositore parte dal tradizionale ritornello dei tifosi di calcio che viene cantato per le strade ogni volta che un trio smette di suonare. Registra come reagisce al camion, ogni volta che scopre una rissa o un furto, o anche quando un altro trio, non rispettando ciò che sta animando la piazza, attacca un'altra canzone, provocando un'indescrivibile disarmonia e confusione sonora. Tocca anche il comportamento degli uomini nei confronti delle donne che ballano vicino al camion.
Il brano
Encontro dos Trios racconta il momento di chiusura del Carnevale, quando il sole è già alto, nel bel mezzo del Mercoledì delle Ceneri e i trio si ritrovano per concludere la festa, con la piazza gremita di gente che grida “
porque parou, parou porquê”. È questa sensazione, questo brivido di paura di tornare alla quotidianità che Moraes ci annuncia. Ancora una volta, in maniera fortemente carnevalizzante, trasferisce al poeta, o meglio alla statua di Castro Alves, la testimonianza del fatto narrato (“
Ta lá o poeta/ que não me deixa mentir”).
Sebbene ci siano molte altre composizioni da includere in questo segmento della produzione di Moraes Moreira, concludiamo con
Chame Gente, oggi considerato un vero e proprio inno del moderno carnevale baiano. Per quanto riguarda la melodia, il brano partì da un saluto (dal sapore delle tradizionali fanfare carnevalesche) composto da Armandinho Macedo che, in collaborazione con Moraes, lo sviluppò trasformandolo in un frevo ricco di raffinate frasi musicali. Per quanto riguarda i testi, Moraes costruisce la cartografia affettiva del carnevale baiano, dove giustappone la città alta e bassa, i Filhos de Gandhi con quelli di Dodô e Osmar, Pelourinho e Lapinha, Chame-Chame e Corredor da Vitória, vino e sangue . Questa canzone ci sembra la sintesi carnevalizzante della produzione di Moraes, poiché definisce lo stato dell'essere baiano (“
sagrado e profano/ o baiano é carnaval”).
Moraes Moreira si preoccupa costantemente di registrare la storia del carnevale. Come un cronista, con ogni canzone, il compositore delinea un fatto circostanziale del quotidiano carnevalesco. È fondamentale, però, ricordare che questa quotidianità è quella del rito carnevalesco, dove c’è un insieme di norme e un ordine diversi da quelli che guidano la vita quotidiana. Questo è il materiale che Moraes trasformerà in capitoli della storia che si costruisce per frammenti, formando così un mosaico o un'antologia che ha come segno distintivo un'interpretazione poetica. I testi dialogano, si citano, si parafrasano, creano parodie a vicenda, dando vita ad una catena intertestuale, dove il carnevale baiano si metacarnevalizza in modo carnevalesco.
[1] Vedere, in particolare, l’opera dell’autore
A Cultura Popular na Idade Média e no Renascimento: o contexto de François Rabelais e
Questões de Literatura e de Estética: a teoria do romance.
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Fred Góes é compositore, prof. dr. di Teoria da Literatura nella Facoltà di Lettere della UFRJ, ricercatore del CNPq (Consiglio Nazionale di Ricerca in Brasile)
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La Prima Parte di questo saggio è stata pubblicata in Sarapegbe. A.XII, n. 24
https://www.sarapegbe.net/articolo.php?quale=297&tabella=articoli
La Redazione ringrazia Davi Moreira, figlio di Moraes Moreira, per le fotografie, in esclusiva italiana.
Traduzione dal portoghese di A.R.R.
Moraes Carnaval Moreira : o cronista - Segunda Parte
Por
Fred Góes
Divulgação
As canções, que passamos a examinar, têm em comum fatos relativos à criação e ao desenvolvimento do fenômeno Trio Elétrico. Em
Viva Dodô e Osmar, a história da criação da guitarra baiana é o tema:
“Dodô, Dodô/ Antes do gringo/ A guitarra ele inventou/ Osmar, Osmar/ O Carnaval veio trieletrizar/ Logo depois da guerra/ Na minha terra Bahia/ Dois baianos sem compromisso/ descobriram que o cepo maciço/ Evitava o fenômeno da microfonia/ e assim com o nome/ de pau elétrico/ nasceu um dia/ a guitarra na Bahia, Bahia,Bahia”.
Apreende-se que o intuito é provocar a retomada da polêmica sobre a origem da autoria da guitarra elétrica (“
Antes do gringo/ A guitarra ele inventou”). É sabido que a guitarra elétrica é produto de descobertas e experiências empreendidas por diversos fabricantes, sobretudo os americanos, que associados resultaram no instrumento. Dodô e Osmar, no início dos anos de 1940, já obtinham resultados bastante razoáveis, em termos de desempenho do instrumento, de seus “
paus elétricos”, antes mesmo da existência dos equipamentos transistorizados. Era ainda o tempo das válvulas.
Sobre o mesmo assunto trata
Santos Dumont, Dodô e Osmar. Aqui, Moraes compara os inventores do Trio ao pai da aviação, sendo que amplia o sentido da criação do Trio, na medida em que, entre linhas, refere-se ao fato do Trio não ser só a eletrificação dos instrumentos, mas também, toda a complexa estrutura que se acopla ao caminhão.
Em
Ligação, Moraes registra o fato de serem os filhos de Osmar os herdeiros do Trio. São hoje os irmãos Macedo os componentes do conjunto, havendo mesmo netos do inventor que fazem parte do grupo. No verso “
É o desafilho, a continuação”, o compositor faz menção ao número clímax do show do Trio, quando Osmar desafiava Armandinho num
pout-pourri de compositores clássicos (Mozart, Monti, Fritz Kraisler, etc.) que culminava com Osmar tocando a sua guitarra coberta por uma toalha, de costas.
As canções que se seguem guardam características bastante curiosas tanto no que diz respeito à letra, quanto à música. A primeira,
Dodô no céu, enquanto música é um
passo-doble, gênero característico do universo musical espanhol que se popularizou na Bahia em virtude de se concentrar em Salvador um dos maiores contingentes de imigrantes ibéricos.
No que concerne à letra, composta por Moraes em homenagem a Dodô, falecido em 1978, o autor se faz mensageiro do homenageado que, do céu, saúda o carnaval do Trio. Esse é um comportamento característico, identificado por Mikhail Bakhtin
[i], como carnavalizador no universo da literatura, sendo que, quando ocorre no âmbito do próprio carnaval, como no caso dessa canção, provoca um forte estranhamento. Sobretudo, se observarmos que além da mensagem de Dodô, há também a presença de Deus que abençoa o carnaval (“
Contou até mesmo como é que foi/ Que Deus abençoou o carnaval”), em uma total interação entre o sagrado e o profano, entre vivos e mortos.
Em
Todo Pôncio é um Pilatos, além de guardar também traços característicos da carnavalização bakhtiniana, como no verso (“
Fala Boca do Inferno”) e jogar com o sagrado e o profano, “
Xinga Deus e o diabo”, por exemplo, faz referência carnavalizante ao poeta Gregório de Mattos e traz um dado cultural novo, ao mencionar o contexto contemporâneo identificado como pós-modernidade ou modernidade tardia. Vale salientar que uma característica tanto da produção contemporânea, quanto do que se identifica como comportamento carnavalizador é a estrutura fragmentária de diferentes origens em processo de bricolagem. Tanto na melodia, quanto no texto, o compositor justapõe elementos diversos. Já no início da canção, revela a mistura de ritmos com que vai trabalhar, pernambucano, caribenho e baiano (
“Quem bebe no Beberibe/ Bebe no Caribe/ Bebe na Bahia”), para então re-atualizar o canto chão gregoriano em ritmo contemporâneo, com o propósito de afirmar que o fundamental é a transformação.
Esse dado fica evidente nos últimos quatro versos (“
Deixa o som ferver/ Entornar o caldo/ Cortando um dobrado/ Aprendi a viver”). É no ferver do frevo, no transbordar, na passagem do estado líquido para o gasoso que o compositor transmuta o frevo. Na sua origem, o frevo pernambucano é uma reformulação do dobrado militar tocado nas bandas.
As canções que se seguem tematizam as engrenagens políticas do carnaval, isto é, revelam, ainda que poeticamente, os bastidores da festa. São, na verdade, reações do autor às normas institucionais dos comitês ou grupos encarregados da organização do carnaval baiano.
Em
Caminhão da Alegria, Moraes fala da impossibilidade de se tentar “organizar” o carnaval, da incapacidade de se controlar a ocupação da Praça quando um grande Trio se aproxima. Lembra ainda da ineficácia dos pequenos grupos de músicos , tocando em locais estratégicos, determinados pela Prefeitura, os “Trios Fixos”, instituídos sem sucesso há alguns anos, iniciativa mal sucedida que não vingou. Eram o que o autor denominou de “
Coreto Careta”. Neste ano, Moraes não participou do carnaval baiano, foi tocar em Nova York
(“ Eu não, eu não/ Eu não, que não ia/ Eu só vou pra Bahia/ de Cam
Cadê o Trio narra o fato ocorrido em 1984, quando, mais uma vez, por não ter conseguido apoio oficial, o Trio de Armandinho, Dodô e Osmar não participou do carnaval de Salvador. Naquele ano, o grupo foi para Porto Seguro e, no trajeto, o caminhão virou em uma curva da estrada. Na canção, além de mencionar o fato e atribuir a culpa da ausência do Trio a (“
Quem manipula/ e não pula o carnaval”), Moraes faz a citação, inclusive melódica, a um dos seus maiores sucessos carnavalescos
“Festa do Interior”.
Ainda na linha crítica, só que de outro teor, de cunho denunciante, Moraes compôs
Carnê do Carná. O tema é um dos mais controvertidos aspectos do atual carnaval baiano: os blocos com seus trios “particulares”, ou melhor dizendo, a indústria do carnaval.
O trio elétrico foi, originalmente, concebido por Dodô e Osmar como uma manifestação de rua que agregaria gente de todos os estratos sociais e econômicos. Em um velho frevo,
Frevo do Trio, de autoria de Osmar, era dito
(“Pula gente bem/ pula pau de arara/ pula até criança/ E velho babaquara”). No entanto, com a industrialização e o agigantamento, de um lado, e com o crescimento da violência durante os anos 70, os trios das classes aburguesadas passaram a surgir nas ruas cercados por cordas, com seguranças “cordeiros”.
A questão dos trios de bloco é controvertida, na medida em que, de um lado, a estrutura empresarial desenvolvida pelos organizadores dos blocos em consonância com as instâncias da industria turística possibilitou o surgimento de inúmeros grupos musicais novos que experimentaram novos ritmos, vindo a redundar no
axé music , além de provocar um importante segmento da industria fonográfica regional, do outro, é responsável pela descaracterização do carnaval independente de rua da Bahia, que a cada ano se torna mais setorizado, ou melhor, privatizado, atrás de cordas e em camarotes burgueses. Este é o assunto de
Carnê do Carná. Nos versos (“
Foi-se o tempo e a folia/ já não é mais de graça”) o compositor revela sua nostalgia dos carnavais que ainda não tinham tantas entidades hierárquicas e organização. Observa, com muita propriedade, a situação da jovem classe média que troca o ambiente “familiar” e “seguro” dos bailes de salão dos clubes, pela segurança das cordas dos blocos (“
Quero sair no bloco/ corda até o pescoço/ Vou sair de turista/ Vou segurando a bolsa/ E a honra da moça/ Que um dia se arrisca”). Satiricamente, o compositor se refere ao indivíduo que, cercado por todo um aparato de segurança e organização (serviço médico e bar privê dentro das cordas, por exemplo) se “fantasia” de folião como aquele que “
tenta soltar a franga".
Em
Porque parou, parou porquê” o compositor parte do refrão tradicional das torcidas de futebol e que é cantado nas ruas sempre que um trio para de tocar. Registra como reage sobre o caminhão, sempre que flagra uma briga ou roubo, ou ainda quando um outro trio, não respeitando o que está animando a Praça, ataca uma outra música, provocando uma desarmonia e uma confusão sonora indescritíveis. Dá também um toque sobre o comportamento dos homens com relação às mulheres que dançam nas proximidades do caminhão.
A canção
“Encontro dos Trios”, tematiza o momento do encerramento do carnaval, quando o sol já vai alto, em plena quarta-feira de cinzas e os trios se encontram para terminar a festa, com a Praça repleta de gente que grita “
porque parou, parou porquê” . É dessa sensação, desse arrepio do temor do retorno ao cotidiano que se anuncia que nos fala Moraes. Mais uma vez, num comportamento altamente carnavalizador, transfere para o poeta, ou melhor, para a estátua de Castro Alves, o testemunho do fato narrado (“
Ta lá o poeta/ que não me deixa mentir”).
Ainda que haja muitas outras composições a serem incluídas nesse segmento da produção de Moraes Moreira, finalizamos esta mostra com
Chame Gente, hoje considerado um verdadeiro hino do moderno carnaval baiano. No que concerne à melodia, a canção partiu de uma saudação (no sabor das tradicionais fanfarras de carnaval) composta por Armandinho Macedo que, em parceria com Moraes, desenvolveu-a, transformando-a em um frevo repleto de refinadas frases musicais. Quanto à letra, Moraes constrói a cartografia afetiva do carnaval baiano, onde justapõe a cidade alta à baixa, os Filhos de Gandhi aos de Dodô e Osmar, o Pelourinho à Lapinha, o Chame-Chame ao Corredor da Vitória, o vinho ao sangue. Esta canção parece-nos ser a síntese carnavalizadora da produção de Moraes já que define o estado de ser baiano (“
sagrado e profano/ o baiano é carnaval”).
É constante a preocupação de Moraes Moreira em registrar a história do carnaval. Como cronista, a cada canção, o compositor delineia um fato circunstancial do cotidiano carnavalesco. É fundamental, no entanto, lembrar que esse cotidiano é o do ritual carnavalesco, onde está em vigor um conjunto de normas e uma ordem diferentes dos que norteiam o dia-a-dia. Esse é o material que Moraes vai transformar em capítulos da história que se constrói por fragmentos, formando, assim um mosaico ou uma antologia que tem como marca uma interpretação poética . Os textos dialogam, citam-se, parafraseam-se, parodiam-se, criando uma cadeia intertextual, onde o carnaval baiano metacarnavaliza-se carnavalizadoramente.
[i] Ver em especial, na obra do autor,
A Cultura Popular na Idade Média e no Renascimento: o contexto de François Rabelais e
Questões de Literatura e de Estética: a teoria do romance.
La Redazione ringrazia Davi Moreira, figlio di Moraes Moreira, per le fotografie, in esclusiva italiana.