Cibo e simbolismo nell'Emigrazione italiana nel sud del Brasile
Maria Catarina Chitolina Zanini
Copertina di un libro sulla cucina italiana in Brasile presentato il 20/2/24 all' Instituto Guimarães Rosa - Ambasciata del Brasile, in occasione dei 150 anni dell'Emigrazione Italiana in Brasile
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Quando gli emigranti italiani si diressero dall'Italia al Brasile, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, portarono con sé pochi averi, alcuni semi, piantine, ricette e saperi specifici delle loro località e regioni di origine. All’epoca, l’ Italia era segnata da ristrettezze e poco cibo per la maggioranza della popolazione, specie per i contadini, ma in Brasile il cibo sarebbe diventato un grande simbolo di distinzione e di  italianità[i].  Gli italiani saranno conosciuti e riconosciuti per l'abbondante tavola, quale simbolo di ascensione e di successo nell'impresa migratoria.
 
L’alimento si trasforma in cibo quando viene elaborato culturalmente, sia nelle modalità di preparazione, nei gusti, sia nella distribuzione, nei pasti. Non ogni alimento è cibo e ciò si può osservare in diverse culture che, in modi diversi, trasformano specie animali e vegetali per ricavarne cibo. A questo processo appartengono anche cibi emblematici e cibi tabù, ci sono quelli che mangiano solo gli uomini, quelli che mangiano solo le donne e altri di cui solo alcuni individui possono godere in modo rituale. In definitiva, il cibo è un universo simbolico e pratico che, oltre a nutrire i corpi, produce e riproduce cultura. Inoltre comunica, classifica, include ed esclude.
 
Nelle memorie dell'emigrante Giulio Lorenzoni, il nonno sottolinea il fatto che giunti in Brasile, non avevano ancora il grano per pasta e pane, ma presto lo avrebbero avuto. Nella regione della IV Colonia di Immigrazione Italiana, situata nella regione centrale del Rio Grande do Sul, i segni simbolici della colonizzazione italiana, oggi sono identificati in polenta, risotto di pollo, cucas, pane, risotto, cappelletti in brodo, salame, coppa, formaggi, vino, tra tanti altri cibi e bevande che si distinguevano per la loro appartenenza al mondo italiano. La cuca ne è un esempio. Si tratta di un pane dolce che, nella versione italiana, è più alto e ha come copertura una modesta copertura di zucchero dolce. Nella versione tedesca, l'impasto è più basso e la copertura è abbondante, con briciole dolci, frutta e altri sapori, come cioccolato, gelatine, dolce di latte.
 
Tra gli emigranti italiani che giungevano in Brasile, la produzione alimentare era un'attività familiare, organizzata secondo la logica contadina, in cui l'intera famiglia lavorava per il bene collettivo, sotto l'autorità paterna. Quando arrivarono non conoscevano il suolo della regione, né le stagioni, né i modi di coltivare le specie locali, come ad esempio la manioca. Infatti, all'inizio del processo di colonizzazione, la manioca entrò nei pasti come alimento sostanzioso, che dava forza per il lavoro.

La carne, scarsa in Italia, si trovava in abbondanza nel Rio Grande do Sul, e all'inizio del processo di colonizzazione, veniva servita con farina di manioca. Infatti, tra gli aneddoti raccontati dai discendenti degli emigranti c'era il fatto che gli “antichi”, come venivano chiamati i pionieri che emigravano, confondevano la farina di manioca con il parmigiano. E con questo pensavano che in Brasile ci sarebbe stata una tale abbondanza di formaggio che sicuramente si sarebbero nutriti molto bene.

Come sottolineano Zanini[ii] e Maira Ines Vendrame[iii], in Italia si faceva propaganda sull’abbondanza di cibo che esisteva in terra brasiliana. Il salame cresceva sugli alberi e i frutti della terra erano rigogliosi e abbondanti. Il cibo fungeva così da attrazione per quelle popolazioni di poveri contadini che in Italia vivevano in mezzo a tante difficoltà. Ma cosa mangiavano gli emigranti durante la traversata? In viaggio? E in Italia prima di viaggiare?

Ho selezionato alcuni episodi narrati dagli emigranti Giulio Lorenzoni (1975) e Andrea Pozzobon (1997) nelle loro memorie. Lorenzoni commenta che, durante la traversata, sul piroscafo, nel 1877, il cibo, inizialmente, era buono e saziava. Servivano caffè e biscotti a colazione, a pranzo e cena, insieme a “brodo con pasta o riso”. La domenica, invece, a mezzogiorno “distribuivano a ogni famiglia un buon piatto di frutta secca” (p.28). Inoltre, la domenica la razione di vino veniva raddoppiata. Ciò che scarseggiava, a volte, era l'acqua[iv]. Anche la carne essiccata era strana con un cattivo odore, dice Lorenzoni, ma dopo essere stata ben lavata e cotta, “tutti la mangiavano con golosità, tanto era il loro appetito” (1975, p.33). E così, nelle memorie di Lorenzoni, troviamo diversi momenti in cui il cibo diventa il fulcro della scrittura. La carne, la mancanza di pasta, il gusto per il chimarrão, una bevanda di origine autoctona che gli italiani e i loro discendenti includeranno nella loro routine alimentare.

Andrea Pozzobon è un altro giovane immigrato che scrisse i suoi ricordi durante il processo migratorio, dall'Italia fino all’ arrivo nell'Arroio Grande, luogo dove vissero lui e la sua famiglia. Quanto al cibo, racconta nelle sue memorie che quando erano a Vicenza, aspettando il treno per Genova, il nonno mangiava pane, formaggio e salame con un bicchiere di vino. Quando arrivarono a Porto Alegre, rimasero colpiti dall'abbondanza di carne, verdura e frutta. E comprarono delle banane. Dice: “Contammo pazientemente i frutti: erano 124 e ne mangiammo fino alla nausea”. In questi ricordi compaiono episodi di mangiate anche in altri momenti. Arrivato nel 1885, quindi dopo Lorenzoni, Pozzobon trovò nella colonia di Silveira Martins, le produzioni dei colonizzatori italiani che là vivevano.
 
Una cosa importante da evidenziare è che la polenta e il risotto nella regione centrale del Rio Grande do Sul hanno assunsero un ruolo simbolico molto importante nell'identificazione dei cibi italiani. Se a San Paolo primeggiavano la pasta, la pizza ed altri cibi, qui al sud, provenienti dal mondo contadino e da ciò che fu possibile piantare e raccogliere, i cibi classificati come italiani furono, tra gli altri, la polenta, il risotto, il fortaia[v], la zuppa di cappelletti. In tempi più recenti è diventata famosa la cotoletta alla milanese e la sua fama proviene dalle feste nelle cappelle di campagna. Nella regione sono sorti alcuni ristoranti tipici, “tradizionali” e di altre denominazioni, e hanno avuto successo sia tra la gente del posto che tra i turisti che vengono a visitare la IV Colonia della Immigrazione Italiana.

Questi servono una sequenza di cibi cosiddetti “tipicamente italiani”, come salumi, cappelletti in brodo, risotti, insalate, pane, carni. Tra le carni, ha molto successo il galletto. Si tratta di carne di pollo condita e arrostita allo spiedo. Da mangiare con polenta fritta o abbrustolita. Infatti, la polenta fritta, considerata simbolo dell'italianità, risulta strana agli italiani (provenienti dall'Italia) che vengono a visitare la regione. Inoltre rimangono meravigliati dal risotto cucinato con la carne di pollo, il parmigiano che vi viene abbondantemente aggiunto e la pasta.

La produzione dell'uva nella regione ha attraversato molte fasi, dai primi tentativi di fine '800 e inizio '900, con le malattie che comparivano e che non consentivano una buona produzione, fino ai giorni nostri quando, alcuni discendenti, supportati dalle nuove tecnologie e dalle conoscenze scientifiche sono riusciti a produrre ottimi vini, succhi e altri prodotti derivati ​​dall'uva. Così, come molte famiglie hanno mantenuto il sapere dei propri antenati, oggi c'è una produzione che, supportata dalle nuove tecnologie, cerca di mantenere un'impronta simbolica dell'ascendenza italiana.
 
Insomma, parlare di cibo e della sua simbologia impone di fare un percorso verso il passato e un altro verso i contesti attuali. Tutto il cibo migrante è un cibo di incontri e di possibilità. C'è la ricerca di ingredienti, tecniche, abilità che vengono insegnate e apprese di generazione in generazione, come la consistenza della polenta, il punto di cottura del risotto, i colori dell'uva per il vino, tra tante altre conoscenze arrivate dall'Italia al Brasile e qui furono risemantizzati, riorganizzati nella vita quotidiana degli immigrati e delle loro famiglie.
 
 



[i] Nelle memorie dell'emigrante Giulio Lorenzoni, pubblicate in Brasile nel 1975, in occasione delle celebrazioni del centenario dell'immigrazione italiana nel Rio Grande do Sul, così si legge: “Inquilini di ricchi proprietari, senza una casetta di proprietà, non possedevano neppure una vacca, perchè non potevano risparmiare su niente. Nonostante ciò, erano allegri e felici quando l'anno era andato bene, e un raccolto abbondante bastava per il sostentamento della loro famiglia” (1975, p.14). IN: Lorenzoni, Giulio. Memorie di un immigrato italiano. Porto Alegre: Livraria Sulina Editora, 1975.
 
[ii] Zanini, Maria Catarina Chitolina. Italianidade no Brasil Meridional: a construção da Identidade Étnica na Região de Santa Maria-RS. Santa Maria: Edusfm, 2006.
 
[iii] Vendrame, Maira Ines. O “paraíso terrestre”: alimentação como propaganda e construção da identidade italiana no sul do Brasil. Revista Brasileira de História & Ciências Sociais – RBHCS, Vol. 10 Nº 20, p. 264-286, 2018.
 
[iv] Diz Lorenzoni, “Calda e puzzolente, era l’unica acqua che, per non morire di sede, noi eravamo obbligati a bere” (1975, p.30).
 
[v] Una frittata fatta con salame, formaggio e altri ingredienti. Si tratta di un alimento che si mangia con la polenta  brustolada, abbrustolita.
 
 
Riferimenti bibliografici
Lorenzoni, Julio. Memórias de um imigrante italiano. Porto Alegre: Livraria Sulina Editora, 1975.

Zanini, Maria Catarina Chitolina. Italianidade no Brasil Meridional: a construção da Identidade Étnica na Região de Santa Maria-RS. Santa Maria: Edusfm, 2006

Vendrame, Maira Ines. O “paraíso terrestre”: alimentação como propaganda e construção da identidade italiana no sul do Brasil. Revista Brasileira de História & Ciências Sociais – RBHCS, Vol. 10 Nº 20, p. 264-286, 2018.

 


Maria Catarina Chitolina Zanini. Professoressa titolare del Dipartimento di Scienze Sociali della UFSM (Brasile). Antropologa, ricercatrice della migrazione italiana per il Brasile e attualmente porta avanti anche studi sugli italo-brasiliani e brasiliani in Italia. Laureata in Scienze Sociali alla UFRGS (Università Federale del Rio Grande do Sul), Master alla UnB (Università di Brasilia) e Dottorato alla USP (Università di San Paolo). E' stata studentessa visitante presso l'università Ca' Foscari di Venezia. Le sue ricerche si possono accompagnare all'indirizzo: http://lattes.cnpq.br/4222381114451307.


Traduzione dal portoghese di A.R.R.
 
© SARAPEGBE.                                                          
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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Comida e simbolismo na imigração italiana para o sul do Brasil
por 
Maria Catarina Chitolina Zanini


      
                                                                 
Copertina di un libro sulla cucina italiana in Brasile presentato il 20/2/24 all' Instituto Guimarães Rosa - Ambasciata del Brasile in occasione dei 150 anni dell'Emigrazione Italiana in Brasile 

Quando os imigrantes italianos se dirigiram da Itália para o Brasil, em finais do século XIX e início do XX, trouxeram poucos pertences, algumas sementes, mudas, receitas e saberes-fazeres específicos de suas localidades e regiões de procedência. Se na Itália do período, marcada pela escassez e pelo pouco alimento para a maioria da população, especialmente os camponeses, no Brasil a comida se transformará num grande símbolo de distinção e de italianidade[i]. Serão conhecidos e reconhecidos pela mesa farta como símbolo de ascensão e de sucesso na empreitada migratória.
 
O alimento se transforma em comida ao ser processado culturalmente, seja nos modos de preparo, nos gostos e também na distribuição, nas comensalidades. Nem todo alimento é comida e isto pode ser observado em diferentes culturas que, de modos diversos, processam espécies animais e vegetais para delas fazerem comida. E, neste processo, há também as comidas emblemas e as comidas tabu, há aquelas que somente homens comem, aquelas que somente mulheres ingerem e outras, que somente alguns indivíduos podem usufruir de forma ritual. Enfim, a comida é um universo simbólico e prático que, além de alimentar os corpos, produz e reproduz cultura. Ela comunica, classifica, inclui e exclui também.
 
Como ressaltava o nonno, nas memórias do emigrado Giulio Lorenzoni, se, ao chegarem ao Brasil, ainda não tinham o trigo para as massas e o pão, logo teriam. Na região da IV Colônia de Imigração italiana, localizada na região central do Rio Grande do Sul, as marcas simbólicas da colonização italiana são, hoje, identificadas na polenta, no risoto de frango, nas cucas, nos pães, no risoto, na sopa de capeletti, no salame, nas copas, nos queijos, no vinho, entre tantas outras comidas e bebidas que foram marcadas pelo pertencimento ao mundo italiano. A cuca é um exemplo. Trata-se de um pão doce que, na versão italiana, é mais alto e possui uma modesta farofa doce de açúcar como cobertura. Na versão alemã, a massa é mais baixa e a cobertura é abundante, com farofa doce, frutas e outros sabores, como chocolate, geleias, doce de leite.
 
Entre os emigrados italianos que vieram para o Brasil, a produção dos alimentos era uma atividade familiar, organizada pela lógica camponesa, na qual toda a família trabalhava pelo bem coletivo, sob a autoridade paterna. Quando chegaram, não conheciam o solo da região, nem as estações e nem as formas de cultivo de espécies locais, como a mandioca, por exemplo. Aliás, essa, já no começou do processo colonizador, ingressou nas refeições como alimento de substância, que dava força para o trabalho.

A carne, que na Itália era escassa, no Rio Grande do Sul, será encontrada em abundância, servida com farinha de mandioca no início do processo colonizador. Aliás, entre as anedotas contadas pelos descendentes de imigrantes estava o fato de que os “antigos”, como são denominados os pioneiros que migraram, confundiram a farinha de mandioca com queijo parmesão. E, com isto, pensavam que no Brasil haveria uma tal fartura de queijo que, com certeza, estariam muito bem alimentados.

Como ressaltam Zanini[ii] e Maira Ines Vendrame[iii], havia, na Itália, uma propaganda acerca da fartura alimentar que existiria em terras brasileiras. Os salames dariam em árvores e os frutos da terra seriam exuberantes e fartos. A alimentação serviu, assim, como um atrativo para aquelas populações de camponeses pobres que viviam em dificuldade na Itália. Mas, o que comiam os emigrados no processo de travessia? Na viagem? No período anterior na Itália?

Selecionei alguns episódios narrados pelos emigrados Giulio Lorenzoni (1975) e Andrea Pozzobon (1997) em suas memórias. Lorenzoni comenta que, durante a travessia, no vapor, em 1877, a comida, inicialmente, era boa e ficavam satisfeitos. Serviam café com biscoitos no café da manhã, além de almoço e jantar, com alguma “sopa de massa ou arroz”. Nos domingos, contudo, ao meio dia, “distribuíam um bom prato de frutas secas para cada família” (p.28). Além disso, aos domingos, a porção de vinho era duplicada. O que escasseava, por vezes, era a agua[iv]. O charque, igualmente, estranhado pelo mau cheiro, diz Lorenzoni, que, após bem lavado e cozido, “todos a comeram avidamente, tal era o apetite” (1975, p.33). E, assim, nas memórias Lorenzoni, encontramos vários momentos em que a alimentação entra como foco da escrita. A carne, a falta do macarrão, o gosto pelo chimarrão, bebida de origem indígena a qual os italianos e seus descendentes incluirão nas suas rotinas alimentares. 

Andrea Pozzobon, outro jovem imigrante que deixou escritas suas memórias do processo migratório, desde a Itália até a chegada em Arroio Grande, localidade em que ele e sua família ficarão morando. Quanto às comidas, diz ele em suas memórias que quando estavam em Vicenza, esperando o trem rumo à Genova, que o nonno comia pão, com queijo e salame com um copo de vinho. Ao chegarem em Porto Alegre, ficaram impactados com a fartura de carnes, de verduras e frutas. E compraram um cacho de bananas. Diz ele: “Contamos pacientemente as frutas: eram 124 e comemos até enjoar”. Nestas memórias os episódios alimentares se apresentam em outros momentos também. Chegando em 1885, anos depois de Lorenzoni, Pozzobon já encontrou na colônia de Silveira Martins, as produções dos colonizadores italianos que lá estavam.
 
Uma coisa importante de se ressaltar é que a polenta e o risoto na região central do Rio Grande do Sul assumiram um papel simbólico muito importante na identificação das comidas italianas. Se em São Paulo foram as massas, a pizza e outros alimentos que se salientaram mais, aqui no sul, advindos do mundo camponês e do que foi possível plantar e colher, as comidas que se tornaram adscritivas como italianas foram a polenta, o risoto, a fortaia[v], a sopa de capeletti, entre outras. Mais recentemente, o bife à milanesa adquiriu um valor muito grande, advindo de sua fama nas festas das capelas de interior. Alguns restaurantes típicos, “tradicionais” e outras denominações, surgiram na região e tem feito sucesso, seja entre os locais ou entre os turistas que vem conhecer a IV Colônia de Imigração Italiana.

Estes servem sequência de alimentos denominados de “tipicamente italianos”, como frios, a sopa de capeletti com brodo, o risoto, as saladas, o pão, as carnes. Entre as carnes, o galeto faz muito sucesso. Trata-se de carne de frango jovem, temperada e assada no espeto. Come-se com polenta frita ou brustolada. Aliás, a polenta frita, considerada um símbolo de italianidade, é estranhada por italianos (da Itália) que vem conhecer a região. Além disso, estranham o risoto feito com carne de frango, o queijo parmesão que é fartamente adicionado a este e às massas.

A produção da uva na região passou por muitas fases, desde as primeiras tentativas em final do século XIX e início do XX, com as doenças que surgiram e que não permitiam uma boa produção, até os dias atuais em que, alguns descendentes, amparados pelas novas tecnologias e pelo conhecimento científico, conseguiram produzir bons vinhos, sucos e outros produtos derivados das uvas. Assim, como muitas famílias mantiveram os saberes dos antepassados, hoje se tem uma produção que, amparada em novas tecnologias, procura manter uma marca simbólica da ancestralidade italiana.
 
Em suma, falar de comida e seus simbolismos, requer que façamos um caminho ao passado e outro aos contextos atuais. Toda comida migrante é uma comida de encontros e possibilidades. Há a busca pelos ingredientes, pelas técnicas, pelas habilidades que são ensinadas e aprendidas por entre gerações, tais como a textura da polenta, o ponto do risoto, as cores das uvas para o vinho, entre tantos outros conhecimentos que vieram da Itália para o Brasil e aqui foram ressemantizados, reorganizados na vida cotidiana dos imigrantes e de suas famílias.



[i] Nas memórias do emigrado Giulio Lorenzoni, publicadas no Brasil em 1975, durante as comemorações do Centenário da Imigração Italiana para o Rio Grande do Sul, está escrito: ”Inquilinos de ricos proprietários, sem uma casinha própria, nem uma vaca possuíam, pois nada podiam economizar. Assim mesmo, sentiam-se alegres e felizes quando o ano corria bem, e uma colheita farta era o suficiente para o sustento de sua família” (1975, p.14). IN: Lorenzoni, Julio. Memórias de um imigrante italiano. Porto Alegre: Livraria Sulina Editora, 1975.
 
[ii] Zanini, Maria Catarina Chitolina. Italianidade no Brasil Meridional: a construção da Identidade Étnica na Região de Santa Maria-RS. Santa Maria: Edusfm, 2006.
 
[iii] Vendrame, Maira Ines. O “paraíso terrestre”: alimentação como propaganda e construção da identidade italiana no sul do Brasil. Revista Brasileira de História & Ciências Sociais – RBHCS, Vol. 10 Nº 20, p. 264-286, 2018.
 
[iv] Diz Lorenzoni, “Quente e fétida, era a única água que, para não morrer de sede, nos víamos obrigados a tomar” (1975, p.30).
 
[v] Uma omelete feita com salame, queijo e outros misturas. Trata-se de um alimento que se come com a polenta brustolada, tostada.                                            



Referências Bibliográficas 
Lorenzoni, Julio. Memórias de um imigrante italiano. Porto Alegre: Livraria Sulina Editora, 1975.

Zanini, Maria Catarina Chitolina. Italianidade no Brasil Meridional: a construção da Identidade Étnica na Região de Santa Maria-RS. Santa Maria: Edusfm, 2006

Vendrame, Maira Ines. O “paraíso terrestre”: alimentação como propaganda e construção da identidade italiana no sul do Brasil. Revista Brasileira de História & Ciências Sociais – RBHCS, Vol. 10 Nº 20, p. 264-286, 2018.
 

 
© SARAPEGBE.                                                          
E’ vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati nella rivista senza l’esplicita autorizzazione della Direzione 
Maria Catarina Chitolina Zanini. Professora Titular do Departamento de Ciências Sociais da UFSM (Brasil). Antropóloga, pesquisadora da migração italiana para o Brasil e, hoje, estudando também os ítalo-brasileiros e brasileiros na Itália. Efetuou sua graduação em Ciências Sociais na UFRGS (Universidade Federal do Rio Grande do Sul), Mestrado na UnB (Universidade de Brasília) e Doutorado na USP (Universidade de São Paulo). Foi Visiting Scholar na Universitá Cá´Foscari Venezia. Suas pesquisas podem ser melhor acompanhadas pelo endereço eletrônico CV: http://lattes.cnpq.br/4222381114451307.