Alcune Storie di Emigrazione italiana in Brasile
Antonella Rita Roscilli
Manifesto realizzato nel 1886
TESTO IN ITALIANO   (Texto em português)

Tra il 1876 e il 1920 circa 9 milioni di italiani varcarono l’Oceano per raggiungere le Americhe e almeno 1.200.000 si fermarono in Brasile Le classi dirigenti italiane giudicarono con sollievo l’emigrazione. Per il ministro Sidney Sonnino fu una “valvola di sfogo per la pace sociale”. Molti italiani, dopo avere venduto quel che avevano per raccogliere le somme richieste da avidi reclutatori, raggiungevano i porti e s’imbarcavano su navi che oggi chiameremmo carrette del mare. Dietro l’emigrazione transoceanica si nascondevano anche gli interessi di  compagnie di navigazione, non esenti da colpe per le molte vittime che la traversata mieteva.

Citiamo i 52 morti per fame delle navi “M. Bruzzo” e “C. Raggio” nel 1888, i 24 morti nel piroscafo “Frisca” nel 1889. Erano stivati in piroscafi abilitati a trasportare un numero di persone di tre volte inferiore, molte volte si alimentavano con cibi deteriorati, dormivano sul pavimento, erano soggetti ad epidemie e i bambini soffrivano di mortalità elevata. È questa la sorte toccata alle famiglie dei nonni paterni e materni di Zélia Gattai Amado, memorialista brasiliana moglie dello scrittore brasiliano Jorge Amado.

Nel 1890 partirono da Genova con destinazione Santos. Nel libro “Città di Roma”, Zélia Gattai Amado ricorda i racconti dei nonni: “La traversata da Genova per il porto di Santos fu lunga e penosa” raccontava zio Guerrando “Non posso dimenticare... ammucchiati e tristi come buoi in cammino verso il mattatoio". Ma che tipo di situazione  trovarono in Brasile? Nel 1889 un colpo di stato militare, appoggiato dalla crescente aristocrazia del caffè, rovesciò l'Impero e proclamò la Repubblica. L'anno prima la legge Aurea (13 maggio) aveva liberato i neri brasiliani dalla schiavitù, in un Paese  che era rimasto l’ultimo a praticarla. Eppure la legge non garantì loro un futuro lavorativo e sociale: così si ritrovarono si liberi, ma per strada.  I motivi per i quali si incentivò l’immigrazione in Brasile furono la sostituzione della manodopera schiava e la necessità di popolare le terre deserte del sud. Si pensò ai bianchi come portoghesi, spagnoli, tedeschi e italiani che avevano il valore della famiglia e del lavoro.
                                       
Per anni i luoghi di arrivo degli immigrati italiani furono le fazende di caffé dello Stato di São Paulo e i nuclei di colonizzazione localizzati nel Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná e Espirito Santo. Non esisteva assistenza medica e l’isolamento era forte. Nelle colonie iniziarono a coltivare uva, a produrre vini e ancora oggi producono i migliori vini del Brasile. Lavoravano tutti, anche i bambini, sotto la severa vigilanza di un capogruppo. Quando la notizia del lavoro semi/schiavo giunse in Italia, il  governo italiano cercò di frenare l’emigrazione verso il Brasile e di incentivarlo verso  Stati Uniti e Argentina. In realtà i fazendeiros pensarono di sostituire la manodopera africana con gli immigrati italiani sottovalutando il fatto che questi erano giunti liberi e con un retroterra politico differente. Furono in molti a ribellarsi. Andarono a vivere nei centri urbani collaborando allo sviluppo del Paese. Integrarono i movimenti sociali a Curitiba, Porto Alegre e São Paulo.
                              
Nacquero le prime fabbriche metallurgiche e manifatturiere, si sviluppò il commercio e alla fine del secolo si formò la classe operaia. Nel 1901 a São Paulo gli italiani rappresentavano il 90 per cento dei 50.000 lavoratori delle fabbriche pauliste. Abitavano in case insalubri, in abitazioni collettive (cortiços) o nelle favele. Erano chiamati  carcamano . Come operai ricevevano bassi salari per  lunghe giornate di lavoro, senza protezione contro incidenti e malattie. Per rivendicare i diritti, iniziarono a manifestare. “Ebbero una importanza determinante nell’introduzione delle idee socialiste in Brasile giacché molti di loro erano militanti. Avevano partecipato alle agitazioni sociali nei Paesi di origine e arrivavano in Brasile per fuggire dalle persecuzioni politiche o dalla miseria"  (J. E. Silva “O nascimento da organização sindical no Brasil e as primeiras lutas operarias” ).
                                            

                                                      Trabalhadores marchando nas ruas de São Paulo durante a Greve de 1917, uma das                                                                                                                                         primeiras do movimento operário brasileiro
Agli inizi del secolo XX la presa di coscienza politica originò l’associazionismo sindacale, leghe e sindacati generalmente di orientamento socialista e anarchico. Il movimento operaio utilizzò il giornalismo e la poesia per costruire una propria cultura. Il suo obiettivo fu rompere il regime di  sfruttatori e sfruttati per costruire una società dove tutti avessero uguali diritti e doveri. Si inaugurarono scuole libere fondate da operai anarco-sindacalisti e anarchici, il proletariato criticava la borghesia, la Chiesa e lo Stato,  grazie alle sue piéces rivoluzionarie otteneva denaro per aiutare le scuole, i malati, gli operai disoccupati, i prigionieri politici oltre a finanziarsi la pubblicazione dei giornali. Molti passarono a lavorare per proprio conto in qualità di artigiani, piccoli commercianti, autisti, venditori di frutta, camerieri. Alcuni si distinsero nella società paulista.

E’ da notare che la maggior parte dei primi grandi industriali di São Paulo erano di origini italiane: il caso più noto é quello di Francesco Matarazzo, creatore del maggiore complesso industriale dell’America Latina dell’inizio del secolo XX. Tra gli emigranti italiani, quindi, seppur di condizioni economiche umili, tanti avevano coscienza politica, erano socialisti o cattolici. Per motivi economici e politici molti andarono anche nel Paranà che tra il 1853 eil 1886 ricevette 20.000 emigranti. Tra di loro alcuni italiani, mobilitati dal giornalista e agronomo Giovanni Rossi, fondarono  la Colonia Cecilia, un esperimento anarco-socialista vicino alla cittadina di Palmeira, che durò dal 1890 al 1894. Il progetto ideato da Rossi nel tempo è divenuto  tema di opere di diversi autori come Afonso Schmidt, Cândido de Mello Neto, Miguel Sanches Neto. E' uscito un importante contributo di Darvino Agottani dal titolo "Saga della Colonia Cecilia" e la memorialista Zélia Gattai raccontò l'avventura di suo nonno Francesco Arnaldo nel libro "Anarchici, Grazie a Dio".
                                 
     
                                                 Darvino Agottani, discendente nella Colonia Cecilia, Foto di Fabner Santos
Dopo la fine della colonia, molti andarono via, ma alcuni rimasero. E oggi ancora si ascoltano cognomi italiani come Artusi, Mezzadri e Agottani che continuano a rimanere fedeli alle loro radici. "Per me un grande onore discendere da uomini e donne che, anche di fronte a tante difficoltà, e soprattutto affrontando l’ignoto, hanno attraversato l'oceano in cerca dei propri ideali di libertà, giustizia e lavoro, sempre ispirati dall’onestà" mi ha raccontato Carlos Eduardo Rocha Mezzadri, uno stimato avvocato di Palmeira che mostra con orgoglio nella Colonia di Cantagalo l'antica casa e i ricordi dei suoi avi italiani. Gli Agottani continuano a vivere nelle terre dell'antica Colonia Cecilia. Per loro la tradizione si mantiene viva attraverso i cibi e la produzione di vino. Seguendo l'esempio del nonno Arnaldo, Evaldo Agottani coltiva le uve come facevano i coloni della Cecilia, più di un secolo fa. "Non cambierò mai, continuerò la tradizione" mi dice "A quell'epoca la produzione del vino non era professione, era amore".  

Tante e varie sono le storie degli italiani oltreoceano, tanto da sembrare a volte pura finzione. Invece rappresentano la realtà, la nostra realtà storica. Oggi in Brasile vivono più di 30 milioni di discendenti di italiani che hanno contribuito allo sviluppo sociale e culturale del Paese. Non dimenticano però le abitudini culinarie e culturali dell’Italia e sono orgogliosi di avere radici italiane. É comune ascoltare dialetti e proverbi italiani. Molti dei brasiliani discendenti di italiani sono il risultato del grande sogno per raggiungere il quale i loro antenati affrontarono le difficili traversate di quel mare chiamato Oceano Atlantico. Il Brasile e l'Italia sono molto più vicini di quanto si possa pensare...
 

 
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TEXTO EM PORTUGUÊS   (Testo in italiano)

Algumas Histórias da emigração italiana para o Brasil
por
Antonella Rita Roscilli



                                                                 
                                           Manifesto realizzato nel 1886 dalla Stato di San Paolo

Entre 1876 e 1920, acerca de 9 milhões de italianos cruzaram o oceano para chegar às Américas e pelo menos 1.200.000 pararam no Brasil. As classes dominantes italianas viram a emigração como um alívio. Para o ministro Sidney Sonnino foi uma “válvula de alívio pela paz social”. Muitos italianos, depois de terem vendido o que tinham para arrecadar as quantias solicitadas pelos gananciosos recrutadores, chegavam aos portos e embarcaram nos navios, alguns dos quais hoje em dia chamaríamos de "carrette del mare".

Por trás da emigração transoceânica estavam também os interesses das companhias marítimas, não isentas de culpa pelas muitas vítimas que a travessia fazia. Destacamos os 52 mortes por fome no “M. Bruzzo” e “C. Raggio” em 1888, as 24 mortes no vapor “Frisca” em 1889. Estivavam-se em navios a vapor autorizados a transportar três vezes menos pessoas, muitas vezes alimentavam-se com comida estragada, dormiam no chão, estavam sujeitos a epidemias e as crianças sofriam de alta mortalidade. Este é o destino que se abateu sobre as famílias dos avós paternos e maternos de Zélia Gattai Amado, memorialista brasileira e esposa do escritor Jorge Amado. Em 1890 trocaram Gênova pelo Santos.

No livro “Cidade de Roma”, Zélia Gattai Amado relembra as histórias dos avós: “A travessia de Gênova até o porto de Santos foi longa e dolorosa” Tio Guerrando disse “Não posso esquecer... amontoados e tristes como bois a caminho do matadouro".
                                       

Mas que situação encontraram no Brasil? Em 1889, um golpe militar, apoiado pela crescente aristocracia cafeeira, derrubou o Império e proclamou a República. Um ano antes da Lei Áurea (13 de maio) havia libertado os negros brasileiros da escravidão, num país que ainda a praticava. Mas a lei não lhes garantia um futuro social: eles se viram libertados, mas na rua, sem trabalho. Os motivos pelos quais se incentivou a imigração no Brasil foram a substituição da mão de obra escrava e a necessidade de povoar as terras desérticas do sul. Assim, se pensou nos brancos quais portugueses, espanhol, alemães e italianos que tinham o valor da família e do trabalho. Por anos, os lugares onde eles chegavam eram as fazendas de café do Estado de São Paulo e os centros de colonização localizados no Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná e Espírito Santo.

Não havia assistência médica e o isolamento era grande. Nas colônias começaram a cultivar uvas, produzir vinhos e ainda hoje lá se produz um bom vinho. Todos trabalhavam, até as crianças, sob a supervisão estrita de um líder do grupo. Quando a notícia do trabalho semi-escravo chegou à Itália, o governo italiano tentou desacelerar a emigração para o Brasil e incentivá-la em direção aos Estados Unidos e à Argentina. Na realidade, os fazendeiros pensaram em substituir a mão-de-obra africana por imigrantes italianos, subestimando o fato de estes terem chegado livres e com uma formação política diferente. Muitas pessoas se rebelaram.

Foram morar nos centros urbanos, colaborando no desenvolvimento do país. Integraram movimentos sociais em Curitiba, Porto Alegre e São Paulo. Nasceram as primeiras fábricas metalúrgicas e fabris, o comércio desenvolveu-se e no final do século formou-se a classe operária. Em 1901, em São Paulo, os italianos representavam 90% dos 50 mil trabalhadores nas fábricas paulistas. Viviam em casas insalubres, em cortiços coletivos ou em favelas. Eles eram chamados de carcamanos. Como trabalhadores recebiam baixos salários por longas jornadas de trabalho, sem proteção contra acidentes e doenças. Para exigir os seus direitos, começaram a manifestar. “Eles tiveram uma importância decisiva na introdução das ideias socialistas no Brasil, pois muitos deles eram militantes.

Haviam participado da agitação social em seus países de origem e chegaram ao Brasil para escapar da perseguição política ou da pobreza" (J. E. Silva “O nascimento da organização sindical no Brasil e as primeiras lutas operacionais”). No início do século XX a consciência política deu origem a associações sindicais, ligas e sindicatos geralmente de orientação socialista e anarquista.
                                                            

                                                                  Trabalhadores marchando nas ruas de São Paulo durante a Greve de 1917, uma das                                                                                                                                        primeiras do movimento operário brasileiro
O movimento dos trabalhadores utilizou o jornalismo e a poesia para construir a sua própria cultura. Todos deviam ter direitos e deveres iguais. Foram inauguradas escolas gratuitas, o proletariado criticou a burguesia, a Igreja e o Estado, graças às suas peças revolucionárias obteve dinheiro para ajudar as escolas, os doentes, os desempregados, os presos políticos, além de financiarem a publicação de jornais. Muitos passaram a trabalhar por conta própria como artesãos, pequenos comerciantes, motoristas, vendedores de frutas e garçons. Alguns se destacaram na sociedade paulista. A maioria dos primeiros grandes industriais de São Paulo era de origem italiana: o caso mais conhecido é o de Francesco Matarazzo, criador do maior complexo industrial da América Latina no início do século XX.

Portanto, entre os emigrantes italianos, apesar das suas humildes condições econômicas, muitos tinham uma consciência política, eram socialistas ou católicos. Por razões econômicas e políticas muitos também foram para o Paraná, que recebeu 20 mil emigrantes entre 1853 e 1886. Entre eles, alguns italianos, mobilizados pelo jornalista e agrônomo Giovanni Rossi, fundaram a Colônia Cecília, experiência anarco-socialista próxima à cidade de Palmeira, que durou de 1890 a 1894.

O projeto idealizado por Rossi ao longo do tempo tornou-se tema de obras de vários autores como Afonso Schmidt, Cândido de Mello Neto, Miguel Sanches Neto. Foi também lançada uma importante contribuição de Darvino Agottani intitulada “Saga da Colônia Cecília” e a memorialista Zélia Gattai Amado contou a aventura de seu avô Francesco Arnaldo no livro “Anarquistas, Graças a Deus”. Após o fim da colônia, muitos partiram, mas alguns permaneceram.
                                         
                                            Darvino Agottani, um descendente na 
Colônia Cecília. Foto: Fabner Santos
E hoje ainda ouvimos sobrenomes italianos como Artusi, Mezzadri e Agottani que continuam fiéis às suas raízes. “É uma grande honra para mim ser descendente de homens e mulheres que, mesmo diante de muitas dificuldades, e sobretudo enfrentando o desconhecido, cruzaram o oceano em busca de seus ideais de liberdade, justiça e trabalho, sempre inspirados pela honestidade ", me disse Carlos Eduardo Rocha Mezzadri, conceituado advogado palmeirense que me mostrou com orgulho a antiga casa e as memórias de seus antepassados ​​italianos na Colônia Cantagalo.

Os Agottani continuam vivendo nas terras da antiga Colônia Cecília. Para eles, a tradição se mantém viva através da produção de alimentos e vinhos. Seguindo o exemplo do avô Arnaldo, Evaldo Agottani cultiva uva como faziam os colonos de Cecília, há mais de um século. “Nunca vou mudar, vou continuar a tradição” me disse “Naquela altura a produção de vinho não era uma profissão, era amor”. Em suas terras produz vinhos, vinagres, geléias e sucos, todos estritamente orgânicos. Hoje, mais de 30 milhões de descendentes de italianos vivem no Brasil e contribuíram para o desenvolvimento social e cultural do país. No entanto, não esquecem os hábitos culinários e culturais da Itália e orgulham-se de ter raízes italianas. É comum ouvir dialetos e provérbios italianos.

Muitos contos remontam a épocas longinquas e se parecem verdadeiros filmes. Muitos dos brasileiros descendentes de italianos são frutos do grande sonho de realização que seus ancestrais enfrentaram nas difíceis travessias daquele mar chamado Oceano Atlântico. Brasil e Itália estão muito mais próximos do que se possa imaginar... 



Traduzione in portoghese di A.R.R. 



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